In occasione della Prima Festa del Lavoro” organizzata dalla CGIL alla Fiera di Messina, è stato presentato, nei locali dell’ex “Irrera a mare”, il libro di Sergio Infuso “Un miscelino per Rosa. Storia d’amore e di passioni”. Dopo circa 23 presentazioni svoltesi a Palermo, nella sua provincia ma anche varcando i confini di altre province (da Napoli a Caltanissetta, dalla provincia di Agrigento a Roma), il libro di Infuso viene presentato anche nella sonnolenta Messina, ravvivata da questa bella iniziativa della CGIL e i cui cittadini, leggendolo, avrebbero molto da apprendere perché si tratta di un libro carico, oltre che d’amore, di passione civile, di impegno concreto per il territorio d’appartenenza, come pochi dimostrano di avere per la nostra città.
“Un miscelino per Rosa” è un libro di memorie, è un omaggio, un atto d’amore alla compagna di vita e di tante battaglie civili, strappata da un tumore dagli esiti inesorabili e dal nome che suona come un condanna a morte – mesotelioma – alle dolcezze di un “amore lungo”, di quelli che ti fanno assaporare le pieghe nascoste del piacere di invecchiare insieme alla persona che si è amata dagli anni della gioventù e con cui si sono condivise esperienze, emozioni, dolori e gioie.
È un libro dedicato a Rosa Priolo, classe 1953, giovane e combattiva operaia tessile che nella seconda metà degli anni ‘70 lotta è in prima fila per la difesa del posto di lavoro (che mi ha ricordato la Rita O’Grady del film “We want sex”); Rosa che crescendo vive in un appagante equilibrio tra pubblico e privato la sua ansia di giustizia e di difesa dei diritti di cittadinanza. Un equilibrio tra le due sfere fortemente radicato nella tradizione. Rosa, ad esempio, crede nel valore della verginità; dopo il matrimonio, lascia il lavoro per dedicarsi alla famiglia; è contraria sia al divorzio che all’aborto, ma è una donna aperta, intelligente e generosa che, al di là delle opinioni personali, si impegna in prima persona nelle battaglie referendarie a tutela della legge sul divorzio e della 194. È soprattutto una donna fortemente integrata nel proprio territorio, coinvolgente e capace di imprimere originalità e partecipazione per sottrarre il proprio quartiere – “Noce” di Palermo – dall’emarginazione e dal degrado, ma soprattutto dall’illegalità diffusa e dai soprusi delle locali famiglie mafiose. Una donnacoraggiosa, che non ci pensa due volte a sfidare a viso aperto i mafiosetti che stanno infierendo contro l’isola pedonale di piazza Noce, una conquista dell’Associazione per i diritti del cittadino di cui sia Rosa che Sergio sono animatori instancabili. Coraggiosa anche nell’affrontare la malattia, più inclemente dei mafiosi della borgata Noce di Palermo.
Il libro di Sergio, però, non solo fa entrare il lettore, a passo incalzante, nelle vicende private e pubbliche della famiglia Infuso-Priolo, ma presenta più cifre di lettura. I protagonisti non sono soltanto Sergio, Rosa e i loro figli Giusy, Luigi, Enrichetta e Luciano. Ve ne sono altri.
Innanzitutto, il nostro Paese nelle sue evoluzioni e involuzioni politico-istituzionali. Ma soprattutto Palermo con le sue contraddizioni, le speranze e le successive delusioni. La Palermo straziata, “martoriata” dalle uccisioni di mafia degli anni ’80 e poi del ’92; la Palermo rassegnata, che sopporta il flagello della sporcizia delle sue piazze, dei detriti e della spazzatura che trasformano la via Sauro, all’incrocio con Viale della Regione Siciliana, in una discarica a cielo aperto. Ma appare anche la Palermo del “Comitato per la pace, contro la mafia e per i diritti del cittadino” che, nella cd. “Primavera palermitana”, d’intesa con il sindaco Leoluca Orlando, riesce a trasformare quella discarica in un giardino intitolato a Rino Di Salvo, zio di Rosa, falcidiato dalla mafia insieme a Pio La Torre. C’è la Palermo che dopo il ’92 diventa “simbolo dell’antimafia” e anche una Palermo inedita, che svela un “Palazzo” – la sede dell’ARS – che trabocca di solidarietà tanto da raccogliere, aderendo a un appello diffuso da Sergio e da un suo collega, un contributo di € 30.000 destinato alla costruzione, dopo lo tsunami del 26 dicembre 2004, di una scuola nello Sri-Lanka.
E poi c’è il microcosmo amato e vissuto in modo totalizzante da Rosa e Sergio: la Noce, il loro quartiere, e in quel quartiere la Sezione del PCI prima, divenuto poi PDS e quindi DS. Si incrociano le vicende del quartiere con quelle del sindacato, la CGIL, e del partito. Un partito che si trasforma e involve, che attraverso il racconto di Sergio vediamo prima fortemente presente e interattivo con il territorio, poi, via via, sempre più autoreferenziale…
Un’altra protagonista è infine la memoria: scrivere per elaborare il lutto, ma soprattutto per ricordare, per tramandare, per non disperdere il patrimonio di successi e sconfitte, entrambi indispensabili per mantenere vivo il ricordo e per trasmettere a chi non sapeva e alle generazioni future il senso e valore di certe battaglie civili. Per rammentare la lezione di Norberto Bobbio, cioè che i diritti, per quanto fondamentali, hanno natura conflittuale e sono “diritti storici”, nati da battaglie combattute da altri e conquistati gradualmente e, soprattutto, non una volta per tutte. Conoscere l’impegno e le difficoltà di quelle battaglie può aiutare le future generazioni a dare più valore a quei diritti e a diventare sentinelle sempre vigili contro chiunque voglia sottrarre quei diritti faticosamente conquistati.
Nel leggere questo libro ho pensato a un altro libro, a un’altra Palermo e a un altro partito comunista, quelli la cui storia si dipana tra il dopoguerra e gli anni ’80, raccontati da Giuliana Saladino nel suo “Romanzo civile”. Anche in quel caso si trattava di un «vivido, corale e commovente racconto morale: riflesso dell’ansia nobile, propria di quella generazione, di dare universalità a ogni felicità come ad ogni dolore». Quel racconto era animato da intellettuali, scrittori, giornalisti, editori da idee e costumi liberi e dall’eleganza spartana; nel libro di Sergio la scena è riempita da Rosa, dalla sua famiglia e dal suo quartiere popolare. In entrambi i casi si respira la passione, l’integrità, l’etica di una politica vissuta come battaglia per il riconoscimento di diritti mai barattati come favori, una politica come impegno sociale, partecipazione e coinvolgimento nell’esclusivo interesse della propria comunità, di una militanza che si pone costantemente il problema di migliorare la qualità della rappresentanza. Quella “buona” politica che oggi vorremmo tornasse a riempire non solo le piazze, ma anche i cuori e le menti di tanti giovani uomini e giovani donne delusi dalla “cattiva” politica e, soprattutto, i “Palazzi” della rappresentanza e tutti i luoghi delle decisioni politiche ed economiche.