A volte per asserire che qualcosa è “pulito” si dice “trasparente come l’acqua”. Ma oggi l’acqua non è più così limpida, che, anche attraverso, puoi vederci chiaro. È diventata torbida come certi residui di acqua stagnante. Il cristallino mondo dell’acqua e delle acque minerali nasconde in realtà non pochi lati oscuri: i profitti della privatizzazione di un bene comune che viene trattato come merce. Un mercato mondiale che raggiunge un volume annuale di 89 miliardi di litri e che lascia a gola secca gran parte della popolazione mondiale più povera, mentre nei paesi “ricchi” si è disposti a pagare cifre a volte esorbitanti (negli Stati Uniti un litro di acqua minerale costa più di un litro di benzina) per un bene a cui dovremmo e potremmo accedere gratuitamente se solo si lottasse contro la privatizzazione dell’acqua, se solo si capisse e si sapesse che certa acqua che acquistiamo non è migliore di quella che scorre dei nostri rubinetti. E così, la sola Europa dell’est beve quasi la metà del totale mondiale di acqua in bottiglia. E tra gli europei siamo proprio noi italiani a bere la maggiore quantità di acqua in bottiglia. A “sporcare” l’acqua che beviamo, non solo i crimini verso l’umanità che ne viene privata e che non può affrontare le spese per accedervi, non solo i costi e le concessioni con su di essa si specula. A “sporcarla” è anche l’impatto ambientale della produzione di acqua in bottiglia.
Se l’acqua diventa sempre più merce di consumo, l’imballaggio diventa parte del prodotto da vendere. “L’imballaggio fa la marca. La marca fa l’imballaggio. Un prodotto deve avere visibilità per vendere. La sua presentazione deve fare venire in mente nozioni come buon servizio, sicurezza, igiene”. L’imballaggio fa la marca e a quanto pare, fa anche l’acqua, dato che è attraverso di questo che si tenta e, ancora peggio, si riesce a vendere maggiormente il prodotto. Forse perché è l’unico modo per convincere all’acquisto di un bene che è in realtà a nostra completa disposizione a costi sensibilmente minori di quelli con cui quello stesso bene ci viene offerto negli scaffali di botteghe e market. Ed allora le bottiglie d’acqua diventano un oggetto dal valore estetico e, quando è da queste ultime che veniamo attirati nelle corsie dei super mercati, ecco che in quel momento non stiamo acquistando solo acqua, ma un prodotto completo. Ed ecco che, più o meno inconsapevolmente, diventiamo parte attiva di quel processo di privatizzazione dell’acqua, permettiamo a questa o quella multinazionale anche solo una microscopica parte dei suoi profitti su un bene pubblico. Questo perché nel momento esatto in cui l’acqua, o per meglio dire la bottiglia di acqua minerale, diventa un oggetto commerciale, essa perde la prospettiva di elemento naturale e, più d’ogni altra cosa, di elemento necessario e di conseguenza al quale tutti dovrebbero avere libero accesso. La forma, i colori, l’etichetta, il logo diventano le caratteristiche di maggiore importanza, oltre che garanzia di un prodotto di presunta qualità. E se tutto questo, se il “semplice” ridurre l’acqua ad una merce, potrebbe da solo bastare a cancellarne la purezza, già di per sé messa in dubbio dalla presenza nelle bottiglie di indesiderate sostanze, si aggiunge la produzione di rifiuti e lo sciupo di energie.
Se basta una marca nota per non domandarsi da dove proviene l’acqua che acquistiamo e beviamo (cosa che dovrebbe interessare noi stessi), di certo basta anche per non chiedersi se la produzione di quella bottiglia sia avvenuta nel rispetto dell’eco sistema, senza danneggiarlo.
Se nel mondo vengono consumati 89 miliardi di litri di acqua in bottiglia, vuol dire che viene utilizzato più di un milione di tonnellate di plastica ( basti pensare anche solo a quella con la quale vengono avvolte le comuni confezioni da 6), e questa, che sia PET o PVC, si accumula agli altri numerosi rifiuti nel ciclo di produzione. Il processo di riciclo di un materiale come la plastica è un processo lungo e costoso (causa: il ridotto valore commerciale della plastica e lo scarso peso rispetto al suo volume), ragion per cui la plastica viene destinata agli inceneritori, creando non pochi problemi ambientali a causa della dispersione nell’aria, con l’eliminazione delle bottiglie, di sostanze chimiche che possono risultare tossiche o dannose. In particolare la liberazione delle tossine e dell’acido cloridrico.
Un impatto di più difficile individuazione è, in fine, legato al consumo di energie. Un consumo che va oltre la “mera” privatizzazione delle sorgenti d’acqua e che si lega alla produzione stessa della plastica e al trasporto, visto che i dati accertano la tendenza delle maggiori multinazionali di vendere la propria acqua lontano dalle loro fonti.
Cosa fare allora, contro le multinazionali che speculano sull’acqua?
Come fare, per non contribuire ai profitti sulla sete delle multinazionali?
Come fare per cercare di ridurre l’impatto sull’eco sistema?
Fortunatamente, qualcosa può ancora farsi, prima che la vita sulla terra sia annullata, perché, come cantano Mario Riso e Caparezza in nell’acqua (brano realizzato dal progetto Rezophonic), “la vita è nell’acqua […] perché se l’acqua scompare, dopo un po’ si muore”.
– Possiamo bere abitualmente acqua del rubinetto, o con metodi più improvvisati come quello di lasciare evaporare il cloro, o con metodi più all’avanguardia, installando un depuratore (oggi ce ne sono di tutti i tipi e di tutti i costi)
– Possiamo prendere l’acqua in qualche fontana presente nella nostra città dalla quale sgorga acqua potabile. In questo modo non solo utilizziamo l’acqua di rete “boicottando” le bottiglie col marchio, ma aiutiamo anche l’ambiente, in quanto non produciamo costante rifiuto di bottiglie di plastica (si pensi ai fiuti di plastica che si accumulano in un solo mese acquistando regolarmente confezioni d’acqua)
– Se vogliamo o dobbiamo acquistare acqua in bottiglia, possiamo cercare di fuggire dalle grandi multinazionali acquistando acqua che proviene da un luogo geograficamente vicino. E soprattutto, in questo caso, cerchiamo di acquistare l’acqua in confezioni grandi, quelle da due litri ad esempio, poiché ovviamente l’imballaggio di una bottiglia da due litri, rispetto a quatto da mezzo litro, ha bisogno di meno plastica per essere prodotto ed è meno difficile da smaltire.