Cosa accomuna una donna nigeriana che di mestiere lavora in un’industria di confetture, un’altra impiegata in un ristorante, un folignate occupato in una ditta di materiali in polistirolo e un bresciano che fa da receptionist in un hotel?
Due cose, che visti i presupposti non sono poche. La prima è che tutti e quattro sono ex detenuti. La seconda è un nome: Luca Verdolini, della cooperativa Gulliver, promotrice del progetto “Ri.usci.re” a cui tutti e quattro partecipano. “È l’unica mosca bianca nel panorama dei progetti per reintegrare gli ex detenuti – dice Massimo, ex pilota di aereo, bresciano di nascita, che adesso lavora in un hotel del centro di Perugia – Gli altri fanno solo parole, Luca invece dà un aiuto concreto”. Sono quattro storie diverse quelle che raccontano i protagonisti.
Le due donne, ad esempio, sono emigrate dalla Nigeria rispettivamente diciannove e ventuno anni fa. Alle spalle hanno situazioni di disagio, ma entrambe hanno trovato in carcere la possibilità di riscattarsi. “In questo momento di crisi è difficile trovare un lavoro, specie se si esce da un penitenziario e si è etichettati come delinquenti – dice Maria (la chiameremo con questo nome visto che preferisce mantenere l’anonimato). Io ho tre figli, come li potrei mantenere senza un lavoro?”.
Anche Massimiliano, folignate “come non se ne trovano più” si ritiene fortunato di avere ottenuto la borsa lavoro di “Ri.usci.re”: ” È un buon progetto sia per me che per l’azienda che mi ospita, perché forma un nuovo dipendente senza alcun costo”. Il progetto è lodato da tutti, ex detenuti e datori di lavoro. Come Gabriele, che ha accolto Massimo e si dice fiero di averlo fatto: “Superare i pregiudizi è difficile, ma alla fine ho avuto ragione. Questa esperienza ti dà molto in cambio del tuo coinvolgimento. Tu dai 1 in rispetto alla persona con cui ti trovi ad avere a che fare e ricevi 10, perché poi diventi un punto di riferimento e si crea un rapporto umano speciale”.
Come dice Gabriele, “non si finisce in galera per una malattia, ma perché non si ha potuto apprezzare determinati valori”. Un errore, per quanto tragico, non può rovinare una vita. È d’accordo con lui Luca, datore di lavoro di Miriam (anche lei vuole restare nell’anonimato): “Il nostro sistema giudiziario è estremamente ingiusto. Io cerco di dare una mano perché in futuro mi potrei trovare nelle stesse condizioni”.
Ai colloqui per aderire ai progetti della cooperativa partecipa la gran parte dei detenuti che risponde ai requisiti dei bandi. E ogni volta è una ressa. Questo dato è tutto ciò che serve per capire l’importanza di iniziative che trasformano il carcere in un’opportunità. Certo ad attirare i detenuti è anche il compenso che viene riconosciuto ai lavoratori, con tanto di contratto. Ma è soprattutto la possibilità di spendere il tempo passato in carcere per costruire il proprio futuro nel mondo libero.
Oltre a “Ri.usci.re” la cooperativa Gulliver a Perugia ha creato anche il Podere Capanne. Non è soltanto un orto biologico per la città, ma è anche un modo per restituire la sua funzione rieducativa a uno dei carceri con il più alto tasso di suicidi.
Sono bastati 12 ettari di terreno attorno alla casa circondariale e un finanziamento di 350mila euro del ministero della Giustizia: così nel 2006 è nato il G.a.s., il gruppo di acquisto solidale, che con un camioncino giallo carico di prodotti biologici rigorosamente di stagione ha rifornito circa cento famiglie, consegnando nel 2010 oltre 300 chili di frutta e ortaggi.
E anche se, come confessa Luca Verdolini «le consegne sono state interrotte…non ce la facevo più, sarà l’età!» frutta e verdura prodotte nel carcere di Capanne continuano a essere vendute grazie a una collaborazione con la Coldiretti.
Quello che caratterizza il Podere, rispetto ai tanti progetti che proliferano in Italia, è che non ha mai pensato di essere una realtà puramente carceraria. E infatti i frutti del progetto vengono raccolti dalla città, e non restano all’interno del carcere.
Questo vale per gli ex detenuti che meglio si reintegrano nella società. Ma vale anche per i frutti della terra che sta attorno al carcere. Il tutto nel nome della filiera corta e del biologico. Ma soprattutto della solidarietà.
Una solidarietà che non ha fermate in vista, ma sempre nuove attività. E che riscuote successo anche nel cinema, con “Il frutto del lavoro”, un cortometraggio realizzato dalla “Desegno srl” che racconta con gli occhi dei detenuti il Podere Capanne e concorre al Giffoni Film Festival.
«A settembre partiremo con altri due interessanti progetti» dice Luca, e ci saluta lasciandoci con una notizia che fa già venire l’acquolina in bocca: «Se a dicembre venite a Perugia non perdetevi la nostra cena galeotta, “Le golose evasioni”».