Un pieno di legalità…Sulle strade dell’uomo

“Educare alla legalità significa elaborare e diffondere un’autentica cultura dei valori civili. Si tratta di una cultura che intende il diritto come espressione del patto sociale, indispensabile per costruire relazioni consapevoli tra i cittadini e tra questi ultimi e le istituzioni. “Educare alla legalità significa elaborare e diffondere un’autentica cultura dei valori civili.
Si tratta di una cultura che intende il diritto come espressione del patto sociale, indispensabile per costruire relazioni consapevoli tra i cittadini e tra questi ultimi e le istituzioni; consente l’acquisizione di una nozione più profonda ed estesa dei diritti di cittadinanza, a partire dalla consapevolezza della reciprocità fra soggetti dotati della stessa dignità; aiuta a comprendere come l’organizzazione della vita personale e sociale si fondi su un sistema di relazioni giuridiche; sviluppa la consapevolezza che condizioni quali dignità, libertà, solidarietà, sicurezza, non possano considerarsi come acquisite per sempre, ma vanno perseguite, volute e, una volta conquistate, protette”.
“L’educazione alla legalità si pone non soltanto come premessa culturale indispensabile ma anche come sostegno operativo quotidiano, poiché soltanto se l’azione di lotta sarà radicata saldamente nelle coscienze e nella cultura dei giovani, essa potrà acquisire caratteristiche di duratura efficienza, di programmata risposta all’incalzare temibile del fenomeno criminale.”

Questo quanto dettato dalla circolare ministeriale del Ministero Pubblica Istruzione, 302 del 1993.
Ma la legalità, effettivamente, quanto viene rispettata?
Oltre 320 mila studenti, tra i 15 ed i 19 anni sono stati vittime di reati tra il 2000 ed il 2001. A denunciarlo sono gli stessi ragazzi, indicando nella strada, nelle discoteche, negli stadi, ma anche nella scuola i luoghi più a rischio. E soprattutto puntando il dito sui coetanei quali autori frequentemente di reati, soprattutto spaccio, furto e violenza, ed altrettanto spesso protagonisti di abuso di stupefacenti o alcolici.
È questo, in estrema sintesi, il quadro che emerge dall’indagine Confesercenti – People Swg su giovani e criminalità.
Quasi un ragazzo su due di indica nella violenza il tipo di reato subito con maggiore frequenza, seguito da furto (36,4%), violenze sessuali (27,2%), istigazione e sfruttamento della prostituzione (25,2%), molestie sessuali (22,7%) ed estorsione (22,4%). Quanto agli autori dei reati, la maggioranza (74,8%) ritiene che siano i propri coetanei a spacciare stupefacenti, mentre per il 46,4% li indica come autori dei furti ed il 31,4% di scippi.

A tal proposito la Parrocchia Santa Maria di Gesù di Provinciale, ha attivato, grazie alla collaborazione di qualificati relatori, una serie di incontri sull’educazione alla legalità.
Il prossimo incontro si terrà il 21 gennaio 2010 ed avrà come tema “Mafia ed economia: i danni per il futuro dei giovani” il quale verrà relazionato dal Prof. Mario Centorrino, docente di Politica Economica dell’Università degli Studi di Messina.
Per ulteriori informazioni visitare il sito santamariadigesu.net o contattare agli indirizzi e – mail [email protected]  – [email protected].

Di seguito il testo del parroco Don Terenzio Pastore il quale ha aperto ed introdotto il primo incontro:

Carissimi,
voglio condividere con voi quello che provo all’inizio del nostro cammino di Educazione alla legalità.
Potrei essere molto felice, oggi, per la vostra presenza qui e, in futuro, per quella di altri che parteciperanno agli incontri, potrei essere molto felice del programma realizzato grazie all’operato di diversi collaboratori e che coinvolge relatori tanto qualificati, potrei essere molto felice dell’interesse di tanti  e di quello dei mass-media locali per quest’iniziativa della nostra comunità parrocchiale…
…potrei esserlo, certo, ma non lo sono.
Non lo sono, perché siamo qui per parlare di mafia, cioè di un fenomeno perverso, che genera paura, sottomissione, sofferenza, odio, illusione; un fenomeno che impedisce lo sviluppo e che spezza vite umane, schierate a volte dalla parte del bene altre da quella del male: in una parola, un fenomeno che produce morte. E morte in abbondanza.
È importante parlarne, lo abbiamo scritto anche nella brochure, riprendendo una frase di Paolo Borsellino: “Parlate della mafia. Parlatene alla radio, in televisione, sui giornali. Però parlatene”. Il parlare deve suscitare interesse e una conoscenza maggiore; per questo avremo con noi esponenti della cultura, rappresentanti dello Stato e della Chiesa, che ringrazio sin da ora per ciò che ci comunicheranno.
Ne parliamo in Chiesa, luogo di incontro dell’uomo con Dio e degli uomini tra di loro, luogo in cui fare un pieno d’amore e di speranza, un pieno di pace e di solidarietà, un pieno di giustizia e di perdono, un pieno di legalità. E siccome ciò che Dio ci dona va condiviso, questo pieno non può non arrivare “…sulle strade dell’uomo”, non può non raggiungere chiunque.
Ecco perché parlarne non può che essere solo il primo passo. Spero che nessuno vada via, ora, sentendomi dire che la partecipazione a questi incontri deve da subito portarci a essere testimoni di legalità, uomini e donne onesti e coraggiosi che, in tutti i campi in cui siamo chiamati a operare, non ci lasciamo piegare dalla perversa logica mafiosa. Contrastare questo fenomeno diabolico è responsabilità di tutti. E sappiamo bene che l’unione delle nostre forze è ciò che i mafiosi temono di più, perché riescono facilmente a prevalere, spesso eliminandolo, chi resta solo.
Una convinzione deve accompagnarci: se lo vogliamo, la mafia può finire! Come ogni fenomeno umano, per riprendere il pensiero del giudice Falcone. Come tutto ciò che è malvagio, perché Dio non permetterà che affligga per sempre i suoi figli. C’è bisogno, però, di sporcarsi la mani per sradicare quest’erbaccia che, altrimenti, continuerà a proliferare.
Tra i tanti esempi, permettetemi di citare S. Gaspare Del Bufalo: nei primi anni dell’800, giovanissimo sacerdote, rifiutò di giurare fedeltà a Napoleone. Per questo subì la prigione e l’esilio. Dopo quattro anni  quell’impero, che sembrava incrollabile, cadde, e Gaspare, fondata la nostra Congregazione, andò con gli altri Missionari del Preziosissimo Sangue in tutti gli staterelli che avrebbero poi formato l’Italia a ripiantare il seme fecondo del Vangelo. Tanto sangue era stato versato alimentando guerra e distruzione, il Sangue di Cristo, versato per amore, era e continuerà ad essere sempre l’appello di Dio alla riconciliazione e alla pace: in chiunque, se accolto, porta il frutto della conversione, del cambiamento di vita. In chiunque, anche in quei briganti, che terrorizzavano persino il Papa, arrivato alla decisione estrema di bombardare Sonnino, divenuto il loro covo. Gaspare chiese di poter andar proprio lì, “armato” del solo Crocifisso, e quel bombardamento non si fece più. Tanti briganti cambiarono vita. Il brigantaggio, anche per questo, terminò.
I briganti ieri, i mafiosi oggi: se lo vogliamo, la mafia può finire! Dio lo vuole e suscita per questo la nostra collaborazione. E, come per il sangue di Cristo, anche il sangue di tanti martiri della mafia non sarà stato versato invano.