«Aspetto un raggio di sole nella mia vita». Il raggio di sole, però, Emiljo lo fa comparire quando sorride con i suoi grandi occhi azzurri. Ci racconta di essere arrivato in Italia dalla Romania in cerca di fortuna, come nel dopoguerra gli italiani partivano per gli Stati Uniti per raggiungere i connazionali che si erano già rifatti una vita oltreoceano.
«Alcune persone del mio paese mi hanno detto “Emiljo, tu vieni con noi in Italia e poi arrivato lì ti troviamo un lavoro”. Poi invece mi hanno messo a mendicare per ripagare il viaggio» dice senza mai perdere il sorriso dalle labbra. E dopo aver ripagato il suo debito, si è ritrovato un uomo libero, orgoglioso della sua storia, ma senza un posto dove andare, né radici nel nostro paese.
Quello che stupisce di Emiljo, però, è quell’allegria disarmante, difficile da comprendere e persino da accettare, vista la sua condizione di senzatetto. Dopo molto peregrinare, infatti, da quasi un anno è uno dei personaggi che ruotano attorno alla vita della stazione centrale di Messina. Persone che i messinesi cercano di evitare, colpite da pregiudizi e diffidenza.
La “morale” della favola personale di Emiljo è racchiusa in quella frase, «aspetto un raggio di sole nella mia vita», dietro alla quale si cela un pensiero profondo, che lui stesso ci spiega attraverso un modo di dire romeno: «Da noi si dice “testa in basso, coltello non taglia”». Se tu non fai del male a nessuno, non devi aspettarti che del bene: è questa la filosofia di Emiljo, ed è supportata dall’incontro con Fabrizio e i volontari del centro diurno di accoglienza per i senzatetto della stazione.
Il lavoro più importante del centro, al di là dell’assistenza materiale che offre, è proprio combattere i pregiudizi nelle persone che gravitano attorno alla struttura: operatori, volontari e anche i senzatetto stessi: «Noi non vogliamo fare assistenzialismo – spiega Fabrizio – semplicemente crediamo che una doccia, un pasto e un posto dove dormire non si neghino a nessuno».
Fabrizio e gli altri due operatori della “O.n.d.s.”, la rete nazionale contro il disagio nelle stazioni, che stanno giorno dopo giorno a contatto con questa realtà di marginalità, sono soprattutto convinti che i senzatetto non siano numeri ma persone. «La nostra sfida è educarli per far loro ritrovare il senso della dignità – dice Fabrizio – e lo facciamo fornendo dei servizi».
Come lo sportello-lavoro, in cui i volontari aiutano a scrivere i curriculum delle persone che cercano una occupazione e permettono loro di consultare le riviste che offrono lavoro. Oppure le sei postazioni internet attraverso cui chi si prenota può usare Skype e mettersi in contatto con i parenti lontani («Sono sempre occupate», sottolinea Fabrizio a indicare che i loro sono servizi senz’altro utili).
Il bello del centro è che il rapporto fra gli utenti e gli operatori è di assoluta parità. Infatti sia Fabrizio che Emiljo ci tengono a dire che collaborano tutti a tenerlo in ordine. Condividono tutto, anche le pulizie. È una tecnica per responsabilizzare i senzatetto, ma anche una lezione di vita: non importa quanto ti fermerai qui, ma per quel periodo sarai a casa. Anche solo per una notte, il centro dà accoglienza, diritti e doveri da rispettare.
Non è certo una situazione del tutto idilliaca, come racconta Antonella, una studentessa di 21 anni della facoltà di psicologia che sta facendo il tirocinio nella struttura. «L’impatto è forte, non è facile gestire a livello emotivo una situazione del genere. Non tutti sono aperti e socievoli come Emiljo. Spesso mi ritrovo a ricostruire a spezzoni le storie dei più restii a parlare». La cosa più difficile è accettare che essere senzatetto può essere una scelta di vita e non una costrizione. «C’è chi ha trovato in questa realtà un equilibrio – racconta Fabrizio – e anche se è difficile comprenderlo nessuno è in condizione di giudicare queste persone».