Un ricordo per fuggire dalla retorica imperante. Un ricordo che si accende vent’anni dopo la strage di Capaci e che prende la forma di un libro, edito da Salvatore Coppola, con l’intento di ripercorrere l’anno 1992 attraverso più occhi, più mani, più emozioni, riportando le lancette del tempo indietro, in quell’atmosfera buia, dove il senso di impotenza ha segnato la coscienza dell’Italia intera. È una storia antica e mille volta raccontata, quella di Cosa nostra, quella degli eroi soli trucidati senza remori e per questo la prospettiva, in questo scritto vuole essere diversa. Infatti, si unisce a quella degli osservatori silenziosi, gli autori appunto, che nella diversità di un coro multiforme hanno scavato nel cassetto dei ricordi per far riaffiorare l’immagine del loro vissuto. Il carrettino delle idee, in attesa dell’uscita del libro, attesa per il 18 maggio, ha intervistato una degli autori Denise Fasanelli.
Può spiegarci la genesi del libro?
Nasce dal progetto di una giornalista, Daniela Gambino, che ha avuto l’idea di fare questa domanda: Dammi il ricordo di dov’eri e cosa facevi quando uccisero Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. L’idea è stata originale perché la domanda è stata fatta a più persone (magistrati, cantanti, giornalisti). Persone che lasciano libero sfogo alle emozioni, tra il riaffiorare di qualche racconto particolare, come la nascita di “Per la bandiera” di Francesco Guccini. Nel momento del ricordo però è bello immaginarli con il sorriso, nonostante ancora dopo vent’anni non sappiamo la verità sulle stragi. Abbiamo provato ad aprire questa ferita e curarla al meglio. È bello vedere la singola interpretazione di ognuno.
Cosa lascia un trascorso lungo vent’anni nella memoria collettiva?
Credo che la memoria collettiva viva molto e in maniera diversa. Ci sono persone più adulte che hanno ricordi più nitidi e forse meno speranze. Pian Piano la reazione di chi allora c’era si è in un certo senso affievolita, mentre ora ci sono giovani della nostra età che stanno reagendo con più forza. Nel libro il contrasto generazionale è forte, la più giovane scrittrice ha venticinque anni, dà voce alla moglie di Libero Grassi. Esce forse meno rafforzato il senso di giustizia. Forse i più vecchi hanno paura perché sono stati disillusi, perché il tempo passa ma sembra che si torni al punto di partenza.
È curioso che una trentina si occupi di mafia e antimafia. Da cosa nasce il tuo impegno personale?
Il mio impegno nasce dall’incontro con Carlo Palermo. Due chiacchiere, tra più e il meno e l’apertura di un mondo, ma soprattutto l’incontro con una persona che è uno dei pochi superstiti delle bombe di quegli anni. Il librò è nato per caso, con la pubblicazione di una noticina su face book e la chiamata di un editore che mi ha proposto la collaborazione. In Trentino non arriva molto, le notizie di mafia sono quasi assenti. Si nega l’esistenza stessa della mafia. Le uccisioni, le stragi e tutti gli avvenimenti conducibili a fatti di mafia si giustificano come fatti isolati. Il tutto ovviamente fa un po’ sorridere. La mafia corre dove ci sono interessi, figurati se un posto come il corridoio del Brennero non è interesse di mafia. Nessuno ormai è immune, la mafia ormai ha ampie radici anche al nord.
Qual è secondo te l’antidoto per combattere la mafia in un periodo come il nostro in cui la battaglia sembra sempre più affievolirsi?
Con la buona vecchia educazione civica. Se si riesce a partire dalla scuola tutto è più semplice. Gli adulti hanno tutto un pacchetto culturale difficile da sradicare mentre i giovani sono predisposti all’apprendimento. Apprendere la legalità è un po’come imparare a leggere e scrivere. Del resto il compito è importante, perché la mafia ha mille sfaccettature. La mafia è anche in altre forma di violenza, si pensi al razzismo leghista. È un modo di pensare erroneo tipico del dire comune, presente anche qui al nord: “ Ma tanto che lo dico a fare, le cose restano così”. Credo che bisogna ripartire dal singolo, come del resto sosteneva Giovanni Falcone, che, invitata tutti a fare il proprio dovere.
E con quelle grandiosi parole rievocate da Denise che citiamo per esteso :“Perché una società vada bene, si muova nel progresso, nell’esaltazione dei valori della famiglia, dello spirito, del bene , dell’amicizia, perché prosperi senza contrasti tra i vari consociati,per avviarsi serena nel cammino verso un domani migliore, basta che ognuno faccia il proprio dovere” ringraziamo la nostra intervistata per il suo prezioso contributo. Il resto della scoperta è nel libro e nella memoria di tutti noi.