Continua la campagna di sensibilizzazioni alle emergenze della città da parte della testata de “Il Carrettino delle Idee”. Un percorso avviato con il fine concreto di dare voce ad una parte della città, che avverte la eco di una chiamata collettiva per arginare i numerosi casi di povertà estrema e, al contempo, di una rinascita umana nel rapporto tra Istituzioni, cittadini e soggetti deboli.
Molti dei nostri lettori avranno seguito i servizi sul caso del nucleo di Rom che si era insediato abusivamente sotto il viadotto del viale Annunziata di Messina, uno dei tanti che taglia perpendicolarmente la città e che da sei mesi ospitava alcune baracche sul letto del torrente.
Si è trattato di tre famiglie che hanno deciso di vivere sotto l’unica “casa” che li ha ospitati, in una città che – ad oggi – non risulta avere adeguate strutture per toglierli dalla strada. Una situazione limite che si ripete nell’indifferenza dei soggetti preposti alla vigilanza e all’accoglienza dei senzatetto che vede Messina tra le città più esposte al fenomeno sociale degli homeless.
I “senzatetto” sono in crescendo. Uomini e donne senza meta di cui si conosce davvero poco. Etichettati come scansafatiche e spesso strumentalizzati per propaganda e innesti xenofobi, da usare per impaurire ogni tentativo solidale di integrarli nel sistema cittadino, riempiono le nostre strade anche quelle più centrali.
E’ il caso di Jerzy Laszcz, un polacco di 39 anni conosciuto da tutti come Giorgio, “uno dei tanti barboni” come scrissero i giornali in quell’aprile 2008, che sostava sovente accanto al Simply di Viale San Martino. Di lui si sapeva poco e quel poco non è bastato a salvarlo dal tentativo malriuscito dei suoi stessi connazionali di sfilargli i 450 euro che aveva nascosto nella sua baracca tra i rifiuti in Via Gibilterra. Giorgio non sosta più davanti allo Sma a chiedere l’elemosina. Un problema in meno per le vetrine del “viale principe” della città, uno scheletro in più nella coscienza collettiva ma non è l’unico.
In genere i posti in cui i senzatetto si rifugiano sono all’aperto o tra i rifiuti, in un veicolo (o roulotte) per i più fortunati quale sistemazione temporanea come per le persone da poco sfrattate. Parchi, stazioni ferroviarie diventano l’ambiente più comune dove ritrovarsi. Capita che la provvidenza faccia trovare loro abitazioni abbandonate o rifugi occasionali e solo i gruppi numerosi riescono ad attrezzarsi in campi profughi. L’ondata di freddo di questi mesi annuncia comunque il triste bollettino: ogni inverno miete le sue vittime. Anche nella centrale Galleria Vittorio Emanuele, i vigili hanno trovato il cadavere di un cittadino dello Sri Lanka di 48 anni sotto un ricovero di fortuna fatti di cartoni. Sul corpo alcun segno di violenza, il sonno avrà accompagnato il lento spegnersi di quella vita, senza troppi rumori, senza che taluno si accorgesse di lui.
La condizione di senzatetto è sintetizzata in Italia col termine ingiurioso di “barbone”, cioè malfattore, birbante ma spesso si sottovaluta la sottocultura di provenienza dei senza fissa dimora. Ecco perché qualsiasi forma di definizione risulta alquanto riduttiva e nel caso di Messina lontano dalla realtà dei fatti. Il caso dei Rom dell’Annunziata è forse quello che meno preoccupa ma sicuramente è significativo per una città che non offre servizi ai più bisognosi, consegnandoli al loro destino.
Costretti ad arrangiarsi dall’indifferenza e da una città incustodita nelle sue viscere metropolitane, i Rom dell’Annunziata hanno creato un piccolo nucleo abitativo, con tanto di barriera improvvisata a salvaguardia delle baracche qualora le piogge avessero innescato l’ingrossamento del torrente. “Meglio comunque che vivere in Romania – dicono i rom rispondendo ai cronisti accorsi sul luogo – lì dove c’è la neve, la nebbia e il freddo”. Sul piano nazionale, il caso Rom ha suscitato molte polemiche anche sui rimpatri agevolati ed assistiti. Lo stesso governo di Bucarest ha ammesso in più sedi di non volerne sapere disconoscendo la paternità nazionale di questo gruppo etnico. Privi di documenti di riconoscimento e di “nazionalità”, i Rom diventano popolo di nessuno e allo stesso tempo abitanti di ogni dove.
I Rom vivono oggi ciò che hanno vissuto gli Ebrei per secoli: un popolo senza nazione che vive su se stesso la mobilità e la mancanza di confini che solo una patria comune può assicurare. Infatti, pochi sanno che la popolazione Rom (riconosciuta dal diritto internazionale come tale per specificità culturali e tradizioni secolari) oggi conta milioni di appartenenti sparsi in tutto il suolo europeo, che comprende l’Europa centrorientale e i Balcani, con un indice di concentrazione elevato nella Romania.
Nell’animo dei rom c’è spesso l’intenzione di raccogliere più risorse possibili, per inviarle ai propri cari. Elemosina ma anche lavori a giornata di cui però non è certo il pagamento. Guardati a distanza come scansafatiche ed etichettati dalle stesse forze dell’ordine come soggetti socialmente pericolosi, i rom subiscono l’autoghettizzazione degli spazi e si appropriano di aree periferiche incustodite e che nessuno prova a ribonificare dopo i dovuti sopralluoghi.
Nei loro occhi c’è la speranza di un domani migliore anche se vivere alla giornata comporta enormi sacrifici e forti disagi soprattutto quando la sera il proprio giaciglio non è assicurato per via degli sgomberi continui. Ma per un campo rom rilevato, un altro è pronto a costituirsi magari due o tre isolati più in là, nei pressi dei viali che l’inverno regala all’incuria e all’ombra della scarsa illuminazione.
Il giornalista Maurizio Licordari- durante le riprese – prova a domandare al romeno intervistato come viene visto dai messinesi. Il romeno non ha dubbi: i messinesi nella maggior parte delle volte sono tolleranti e generosi. A Natale vorrebbero tornare a casa (in Romania) dove ad attenderli ci sono i figli e i genitori.
Adesso che sono stati scoperti dalle telecamere, ma soprattutto dalla forze di polizia, non sanno dove andare. In molte città d’Italia i mesi di novembre e dicembre sono mesi in cui gli assessorati e i presidi sanitari mettono in campo piani seri di prevenzione per i senzatetto. Risorse o meno, le amministrazioni pubbliche si attivano nella maggior parte dei casi con la realizzazione di strutture aperte per l’accoglienza dei poveri e dei clochard di ogni nazionalità.
Il richiamo al Natale di questi giorni dovrebbe spingere la società civile ad un’ulteriore riflessione per evitare che la cronaca delle nostre festività riporti casi di assideramento e di abbandono a causa di mancati interventi o di semplice solidarietà.
I senzatetto vivono le nostre strade, le conoscono quasi fossero spazi abitativi illimitati. Emarginati, vagabondi, monoreddito che pagano lo scotto della crisi e che si ritrovano vittime di alcol o altro, perché un inciampo, una fatalità, un insuccesso professionale tutto trasforma, l’esistenza deraglia ed un aiuto al momento giusto potrebbe riportare la serenità smarrita.
Da troppo tempo, la situazione in città ha assunto forme di emergenza. Un paradosso diremmo. A Messina le giornate fredde non sono poi così tante. Ma la freddezza del cuore sembra non avere stagioni. Fare finta di non vederli, di accorgersene può servire ad alleviare il proprio senso di colpa, d’altronde non è colpa nostra quella situazione. Via Ugo Bassi, Piazza Fulci, Via Catania, Piazza Cairoli, stazione centrale e marittima, provinciale e supermercati vicini, via dei Mille, Maregrosso (nonostante l’uscita pubblica del sindaco e lo sgombero improvvisato). E se sono poche le organizzazione che se ne prendono carico per garantire un pasto dignitoso o un riposo ristoratore contro le temperature in calo e la pioggia, dall’altro lato non è raro vedere i più giovani prendersi gioco di questi fratelli.
Il recupero e l’integrazione dei senzatetto sembrano non interessare i responsabili dei servizi sociali comunali. Superata concettualmente la struttura del dormitorio comunale, l’assessore comunale Caroniti sta ancora lavorando per trovare una migliore soluzione. In precedenza, aveva assicurato che stava lavorando con un gruppo di imprenditori per realizzare un gruppo di alloggi di 40 metri quadri da mettere a disposizione dei soggetti con problemi di alloggi. In attesa della tempistica “istituzionale”, sono realtà come Sant’Egidio o la Caritas ad intestarsi la mole di interventi nella città.
Censire, insieme al Paese visibile, anche quello nascosto, sommerso, evitato. Questo l’obiettivo di un’indagine condotta in tutta Italia sui servizi attivi per gli homeless. A promuoverla, il Ministero del Lavoro e del Welfare, copromossa e cofinanziata da Caritas Italiana, realizzata da Istat e Fio.psd – Federazione italiana organismi per le persone senza dimora.
Ma siamo sicuri che occorre una ricerca scientificamente correlata di dati e classificazioni a convincere i nostri amministratori ad adeguare le loro politiche sociali?