Una nuova filosofia per la costituzione di nuovo “diritto” attraverso le parole del Vicesindaco di Messina, Prof. Guido Signorino
Il bene collettivo come si configura rispetto alla divisione classica tra bene privato e bene pubblico ?
In materia economica il bene comune si configura attraverso una netta codificazione dottrinale, perché i beni economici sono definiti attraverso due caratteristiche ben precise. A rispondere è il vice Sindaco di Messina e Assessore al Patrimonio, dotto professore universitario in materia economica. Quindi per il bene privato, continua l’economista, abbiamo la c.d. Rivalità, ad es se io utilizzo una cosa o un bene nessuno lo può utilizzare contemporaneamente a me, quindi il “mio-unico” è rivale nei confronti dell’altro, oppure se io utilizzo questa risorsa privo gli altri della possibilità d’usarla. Accanto a questa peculiarità vi è anche quella della c.d. esclusività che vuol dire che nell’utilizzo di quella risorsa non solo privo ma anche escludo gli altri dal suo utilizzo.
I Beni Pubblici sono invece, quelli che per definizione non possono essere caratterizzati da rivalità anche se sono escludibili. Ad es. la luce del sole o le onde radiotelevisive – sei si guarda la televisione non si impedisce ad altri di guardarla, tranne che non sia oscurata per non aver pagato il canone e per questa via pur essendo un bene pubblico si caratterizza per la sia escludibilità.
Già da questa semplice definizione di scuola possiamo dire che la prospettiva economica del Vicesindaco non risponde alle domande che con questa nuova filosofia del diritto dei beni comuni si vuol porre, perché essa basa i suoi contenuti “su una logica dicotomica del pubblico vs privato, difendendo ora l’uno ora l’altro modello secondo parametri di dubbia utilità sociale”
Ma anche sulla definizione di beni comuni abbiamo qualche perplessità. Secondo Signorino i beni communi sono quelli che più per esclusione che per “filosofia” sono non escludibili e non rivali nell’uso d es. l’utilizzo di una risorsa finita nella sua dimensione come può essere l’acqua. Nel caso invece di una strada sulla quale passiamo, che anch’essa può essere considerata un “bene comune non escludibile”, nel momento stesso in cui ci passiamo sopra si deve escludere che nello stesso punto possa passare un altro e quindi è rivale. Quindi i beni comuni, conclude il Professore, sono solidali nell’uso me non escludibili nell’utilizzo – dalla strada ci dobbiamo passare tutti-. In altri termini la definizione di bene comune sarebbe rapportato ad un principio di solidarietà – non impedire il passaggio altrui- molto vicino e connesso alla volontà umana. Per fare un empio con il bene comune per eccellenza e cioè l’acqua potremmo avere zone dove vi è gente che muore di sete per la siccità ed altre zone dove, per l’emergenza caldo, la protezione civile (Lo stato) provvede a fornire centinaia di migliaia di bottiglie d’acqua gratis, in questo caso chi stabilisce i limiti della “solidarietà”? Che i limiti di queste definizioni, che potremmo definire “scolastiche e dottorali”, siano all’interno degli esempi che abbiamo fatto lo dimostra la risposta data dal Vicesindaco alla successiva domanda.
Come si concilia l’utilizzo di un Bene Collettivo o Comune, come l’acqua, con la circostanza che comunque deve essere pagata e costa ?
Il problema dei beni comuni è esattamente questo. Nella misura in cui essa (l’acqua) possa essere d’assegnazione collettiva per ciò stesso essa rischia di essere depauperata. Tutti possono usare i beni comuni senza pagarne l’equivalente. In Economia questo si chiama preaveting o corsa libera. Ovverosia prendere l’autobus senza pagare il biglietto. Se tutti facessimo così, nessuno si assumerebbe il costo del biglietto ed il servizio scadrebbe. E’ questo il problema della gestione dei beni comuni. In altri termini la funzione collettiva del bene non deve determinare il depauperamento di quella risorsa facendo in modo che chi la usa ne sia responsabile consapevolmente e quindi disponibile a pagarne il costo del servizio. E’ complicato ma è questa la sfida che vogliamo accettare.
In realtà, secondo la filosofia che vi è dietro questo nuovo paradigma dei beni comuni, il problema non è quello del depauperamento della risorsa, o meglio non è solo quello, perché l’individuo non deve badare all’aria o all’acqua per non depauperarla ma perché essi sono beni comuni per l’esistenza di tutto il genere umano. Il quale, dovrebbe guardare ad essi non in termini di beni e costi ma in termini di proprietà collettiva del genere umano nello specifico e degli esseri viventi in generale. “La -proprietà collettiva- implica non il potere di disporre del bene, ma solo la facoltà di un suo «uso» corretto e condiviso in modo pari con tutti gli altri consociati… per la presente e per le future generazioni” (Paolo Maddalena).
Pietro Giunta