Il caso siciliano del sostegno al governo di Raffaele Lombardo, vostro avversario alle elezioni regionali del 2008, ha fatto molto discutere. Lei è stato uno dei principali protagonisti di questa operazione.
In Sicilia la crisi del modello duale che ha tenuto insieme l’Italia è ancora più evidente e drammatica perché aggravata da anni di malgoverno del centrodestra, da una politica clientelare e spesso affaristico-mafiosa. Oggi l’equilibrio si è spezzato. La maggioranza che è uscita dalle elezioni si è divisa tra chi vorrebbe affrontare i problemi della Sicilia con soluzioni nuove e chi vorrebbe preservare il vecchio sistema di potere. Una situazione inedita, prodotta anche dall’azione portata avanti dal gruppo Pd all’Assemblea regionale siciliana e che ha avuto il merito di aver incalzato il governo con proposte efficaci e sfidato la politica sul terreno delle riforme. Così ci siamo incuneati nelle spaccature del centrodestra provocandone la sua esplosione.
Un esperimento inedito.
In Sicilia abbiamo creato le condizioni per un cambiamento radicale del sistema politico e della realtà siciliana. Abbiamo disarticolato il centrodestra.
Non era mai successo che Calogero Mannino e i suoi diretti eredi – Totò Cuffaro, Saverio Romano, Rudy Maira – si trovassero all’opposizione, spogliati da qualunque riferimento di potere, in balia delle riforme. Non era mai successo dall’avvio della seconda repubblica che Miccichè e Dell’Utri si trovassero all’opposizione come il Pdl lealista di Schifani e Castiglione. Oggi si trovano non più a macinare baldanzosi potere e successi elettorali, ma a mangiare polvere. Non era mai successo che Berlusconi non potesse più contare sul granaio di voti siciliano, tanto che probabilmente ha frenato sul voto anticipato, proprio a causa della vicenda siciliana. Non era mai successo neanche all’interno delle forze progressiste che le componenti consociative si trovassero sconfitte, prive del loro status storico di testimoni dell’opposizione, complici sottobanco del sistema di potere del centrodestra.
Insomma la strada del cambiamento è stata tracciata, con una caratteristica che ritengo importante e decisiva: non c’è stata la corsa al potere, né da parte del Pd, né da parte di Fli, dell’area di Rutelli e dell’Udc di Casini e D’Alia: la scelta dei tecnici sta a significare che la politica ha saputo fare un passo indietro, per assumere il compito di sostenere le riforme e verificare l’operato del governo.
Quali sono le riforme su cui si è spaccato il centrodestra?
Facciamo qualche esempio: i rifiuti. L’attuale sistema di gestione dei rifiuti, con 27 Ato in una Regione che conta 9 province, è stato strutturato dal governo Cuffaro. Un concentrato di sottogoverno (presidenti, consiglieri di amministrazione, consulenti… lottizzati e costosissimi) che ha prodotto un aumento esorbitante delle tariffe e uno scadimento della qualità del servizio. Oggi i cittadini sono costretti a pagare bollette 4/5 volte superiori alle precedenti. La raccolta differenziata non decolla, anzi non è neanche iniziata, anche perché la scelta del piano dei rifiuti voluto da Cuffaro prevedeva una bassissima attività di raccolta differenziata, oggi al 5-6 %, per puntare tutto sul grande affare della termovalorizzazione. Nel corso di questi anni alcuni Ato sono stati oggetto di infiltrazioni mafiose. In totale si stima che il sistema Ato, tranne pochi casi di buona gestione, ha già prodotto circa 800 milioni di euro di debiti. Il governo Cuffaro, inoltre, si era inventato un’agenzia regionale di coordinamento con un costosissimo consiglio di amministrazione. Un concentrato di potere fuori da ogni controllo politico-istituzionale e messo nelle mani di un fedelissimo dell’allora governatore. Il suo compenso annuale ammontava a circa 500 mila euro l’anno. L’Assemblea regionale siciliana, grazie ad una legge regionale proposta dal Pd, ha approvato un provvedimento che al 31 dicembre di quest’anno abolirà l’Agenzia regionale e farà decadere il ruolo del supermanager di Cuffaro. Nel frattempo si sta preparando un nuovo piano dei rifiuti che rovescerà l’attuale modello di smaltimento, dando priorità alla raccolta differenziata.
Anche la riforma della sanità ha fatto nascere molte fibrillazioni all’interno del centrodestra.
Quello della sanità è sempre stato un sistema di potere intoccabile. Negli ultimi anni dominio assoluto del cuffarismo e più volte sottoposto a fortissime collusioni mafiose con le punte di vertice di Cosa nostra, Provenzano in testa. Basti pensare al famoso ingegnere Aiello, che a Bagheria gestiva la clinica Santa Teresa. Qui un ciclo radioterapico veniva rimborsato dalla Regione con una somma di 120 mila euro. Oggi l’amministratore giudiziario, che gestisce la clinica sequestrata per mafia, chiede un rimborso intorno ai 14/16 mila euro. Ad Aiello solo in conti correnti sono stati sequestrati 40 milioni di euro depositati in istituti bancari locali. Pensiamo a quanto avrà accumulato e quanto avrà investito all’estero. Cuffaro è stato condannato in primo grado per aver favorito Aiello e, quindi, Cosa nostra.
L’assessore regionale Massimo Russo e il PD all’Ars hanno determinato le condizioni per l’avvio di una riforma senza precedenti in Sicilia che, al di là dei suoi limiti e contraddizioni, ha rotto l’equilibrio di potere costruito dal centrodestra alleato con l’UdC di Cuffaro. L’aspetto più rilevante è stata la riduzione delle 29 ASL e Aziende Ospedaliere a 17, cancellando, oltre a decine di ruoli apicali e clientelari, i centri di intermediazione politico-affaristico. Inoltre, per la prima volta è stato bloccato il meccanismo di accreditamento della sanità privata che in Sicilia aveva raggiunto il numero record di oltre 1800 strutture convenzionate con la sanità siciliana.
In Sicilia vi siete battuti per l’acqua pubblica anche prima del referendum del 12 e 13 giugno.
Adesso si vuole impedire che in Assemblea regionale si determini una convergenza sulle riforme di cui la Sicilia ha estremo bisogno, fermo restando che sia sui rifiuti che sulla sanità bisogna ancora intervenire in maniera decisiva. Si pensi inoltre alla battaglia per il mantenimento della gestione pubblica dell’acqua, il miglioramento della rete, la riduzione degli sprechi e l’ottimizzazione dell’uso delle risorse idriche. La Sicilia è stata la prima Regione a dare il via alla privatizzazione, con un meccanismo che lascia presagire quanto avvenuto nel campo dei rifiuti. Altra riforma necessaria è quella della burocrazia regionale per velocizzare i processi amministrativi, spendere tutti i fondi europei e finanziare i migliori progetti di sviluppo. E ancora, la riorganizzazione di un sistema formativo che non dà frutti, per investire su una formazione che dia opportunità di impresa e lavoro. La formazione professionale regionale spreca 400 milioni di euro l’anno, oltre a mantenere circa 200 enti convenzionati senza dare nessun risultato positivo. Tutte queste proposte dovranno essere accompagnate da quella che io considero la battaglia politica più importante da vincere in Sicilia: sconfiggere la mafia per promuovere la legalità e lo sviluppo. Al centro della stagione riformista dovranno essere poste misure per impedire e combattere le infiltrazioni mafiose, il racket delle estorsioni, il traffico degli stupefacenti, il riciclaggio del denaro sporco… Bisogna, inoltre, impedire la vendita dei beni confiscati in Sicilia e favorirne il loro riuso sociale.
Bene, ma non sarebbe stato più logico sfruttare la debolezza del centrodestra per vincere le elezioni e fare voi le riforme?
Chi negli anni è stato al governo in Sicilia ha costruito sistemi di potere burocratico-clientelare e affaristico-mafioso che condizionano la libertà di voto dei siciliani. Il voto democratico è stato dograto. Ecco perché nella nostra Isola non è mai esistita una politica dell’alternanza, basti pensare alle rielezioni di Cuffaro e di Cammarata, nonostante nei loro primi mandati abbiano colpito a morte la Regione e la città di Palermo.
“Al voto… al voto…” è una delle due trappole in cui sarebbe potuto cadere il Partito democratico siciliano. Così facendo si avrebbe avuto l’illusione di poter cambiare tutto, ma di fatto non sarebbe cambiato nulla: il Pdl si ricomporrebbe, l’Udc rientrerebbe nella coalizione di governo… insomma, verrebbe ancora una volta iniettato nelle vene politiche della nostra Regione il virus della rassegnazione. Saremmo dinnanzi alla classica opzione gattopardesca utile solo a mantenere i sistemi di potere nella sanità, nei rifiuti, nella gestione dell’acqua, nella burocrazia regionale. Insomma, un modo per tenere saldo e al riparo lo status quo, i privilegi e bloccare le riforme di cui la Sicilia ha bisogno.
La seconda trappola: “al governo… al governo…”. Il Pd non deve entrare nel governo regionale, perché non è il governo che fa le riforme, ma l’Assemblea. L’esecutivo ha solo il dovere di applicarle.
Se il Pd chiude alle riforme rischia di tornare a quell’opposizione magari brillante e alternativa di giorno, misera e consociativa di notte davanti alle porte degli assessorati.
Invece, abbiamo fatto la scelta più coraggiosa: prima di tutto le riforme. Solo nelle riforme il Pd può stare di fronte alla crisi del centrodestra senza imbarazzo, in modo chiaro e limpido. Il Partito democratico è nato per cambiare la realtà attraverso le riforme, disarticolare il devastante e dannoso sistema di potere del centrodestra più forte d’Italia e impedire, così, che si possa ricomporre a scapito dei cittadini e della Sicilia.
Molti sia nel centrosinistra che nel suo partito non la pensano così
Rispetto a tale situazione il Partito democratico siciliano deve trovare formule vincenti, capaci di incidere nella politica e nella società.
Nasce da qui l’esigenza di un Pd autonomo e federato a quello nazionale che metta al centro i contenuti, le riforme, l’innovazione, la legalità e lo sviluppo.
Non mi impressionano le dichiarazioni dei satolli “signor no”, degli “interpreti ufficiali” del pensiero altrui, degli “ortodossi” senza idee e progetti in grado di conciliare le cause nobili solennemente proclamate con la possibilità concreta di tradurle in realtà.
Le loro sono parole vuote e lontane dagli interessi dei cittadini, buone soltanto a collocare il Pd all’opposizione consociativa.
La sua idea di un Partito autonomo e federato richiama quella dell’autonomia siciliana. Un’autonomia che però non ha rappresentato un’opportunità in più per la Sicilia.
Il fallimento dell’autonomia siciliana è sotto gli occhi di tutti. L’Isola è agli ultimi posti sul piano delle performance economiche e sociali (reddito, occupazione, diritti, servizi sociali…). La burocrazia regionale, i meccanismi amministrativi, la stessa funzione legislativa rappresentano un freno per la vita dei cittadini, delle comunità locali, degli operatori economici, sociali e culturali.
Molto è dipeso dall’incapacità della classe dirigente siciliana di fare un buon uso dell’autonomia, dalla stessa chiusura al cambiamento e dalle collusioni con la mafia.
Il fallimento dell’autonomia, comunque, ha spiegazioni più complesse. Su tutte spicca una questione di fondo: la crisi del patto nazionale, patto non scritto, ma ferreo e radicato su cui si è costruita in sostanza l’Unità d’Italia, secondo il quale il Nord produce e il Sud consuma. In sostanza, non abbiamo avuto una vera Unità d’Italia, ma nei fatti si è imposta un’Italia duale.
Il Nord produce beni e organizza i migliori servizi, dagli asili nido alle università, dalle politiche per l’infanzia agli anziani e disabili.
Il Sud invece consuma i prodotti del Nord e organizza la rete dell’assistenzialismo da cui trae reddito diffuso per comprare prodotti del nord e creare consenso elettorale.
Quello del consenso è un nodo centrale per capire la bontà e la qualità di un sistema politico.
Al Sud, in tal modo, la politica è scaduta in un ruolo di intermediazione, per cui ad ogni diritto o qualunque bisogno sociale o individuale la politica risponde basandosi sulla intermediazione burocratico-clientelare e spesso affaristico-mafiosa. Un fiume di denaro che si è perso così in mille rivoli alimentando corruzione e collusione mafiosa piuttosto che promuovere i diritti e lo sviluppo culturale, sociale ed economico.
In sostanza nell’Italia duale l’autonomia siciliana, pensata per interpretare le vocazioni e le istanze del territorio, non ha avuto chance.
Il sistema politico si è subito guastato al punto da generare una gestione rovinosa nella sanità, nei rifiuti, nell’agricoltura, nell’artigianato, nel turismo e in tanti altri settori alimentati dalla spesa pubblica regionale.
Il gioco democratico, quindi, è stato manipolato sin dal suo nascere.
Le forze politiche al potere, pur governando male, attraverso una micidiale gestione assistenziale, clientelare e spesso collusiva con la mafia sono riuscite ad assicurarsi quote importanti di consenso in modo da vincere, puntualmente, le varie competizioni elettorali.
Al contrario, le varie forze riformiste, pur proponendo progetti di cambiamento di qualità, hanno sempre rischiato di non avere la giusta rilevanza elettorale perdendo le elezioni a priori.
Il cambiamento è ancora possibile?
Il cambiamento è ancora possibile. Certo, non è facile, ma facendo scelte severe e moderne il Mezzogiorno può riprendere un positivo cammino e ottenere dei risultati straordinari mai prima avuti. Naturalmente tutto ciò può avvenire se i cittadini e soprattutto i giovani del Meridione d’Italia sapranno assumersi le proprie responsabilità, camminando con le proprie gambe, facendo appello alla nuove intelligenze, tirando fuori grinta e voglia di migliorarsi e mettendo in discussione la vecchia Unità d’Italia così com’è stata concepita fino ad oggi, per puntare su una nuova Unità in cui tutte le regioni siano valorizzate per produrre ricchezza, diritti e lavoro. Naturalmente, ognuna secondo le proprie vocazioni storico-culturali e le proprie peculiarità ambientali e sociali.
Ostinarsi a difendere “l’ancien regime” assistenziale rischia di relegare il Sud in una posizione marginale e di soffocare al suo interno le migliori energie e le istanze di innovazione e cambiamento. L’autonomia speciale del futuro deve diventare una potente risorsa per trasformare la Sicilia in una terra finalmente produttiva.
Per imprimere questa svolta occorrono una classe dirigente preparata, non corrotta, capace di liberare la Sicilia dalla mafia e coniugare in un nesso inscindibile legalità e sviluppo; una cultura progettuale europea che metta al centro il merito, il raggiungimento degli obbiettivi concreti, lo studio e la preparazione, i diritti e i doveri, il dialogo senza pregiudizi e l’apertura alle innovazioni; una moderna e trasparente burocrazia regionale che dia risposte immediate e trasparenti alle necessità dei cittadini e delle imprese.
L’impostazione federale con cui si sta ridisegnando l’Italia rischia di fare la stessa fine dell’autonomia siciliana? È un limite o una risorsa per il Paese?
Il federalismo è nemico se avvantaggerà le regioni settentrionali e penalizzerà quelle meridionali, lasciando invariate le distanze economiche e sociali che ancora esistono. Non sarà nemico se, invece, sarà un federalismo solidale e capace di far camminare tutti insieme, valorizzando le potenzialità che in ogni regione esistono e accelerando il cammino delle regioni meridionali per portarle al passo di quelle del centronord.
Insomma, l’Italia va ripensata e riorganizzata come un sistema-paese che sa fare squadra, che sa unire le forze pur rispettando le differenze e le peculiari caratteristiche di ogni territorio. Così il nuovo assetto federale sarà una marcia in più e non la rovina dell’Unità d’Italia, a danno soprattutto del Mezzogiorno.
La “speciale” autonomia siciliana avrà ancora senso?
Sì, se saprà tradursi in specialità di progetto e di innovazione; la stessa politica dovrà prevedere partiti realmente autonomi e federati che sappiano operare scelte avanzate e coraggiose, da negoziare con il potere centrale in una logica di cooperazione e condivisione.
Di Matteo Scirè