Ungheria verso il modello della Russia di Putin

Fino alla caduta del Muro di Berlino, era più facile concepire, in una maniera forse grossolana ma efficace, la politica come una divisione tra il blocco occidentale e quello comunista. Adesso, invece, quali sono i modelli da seguire?

Quel che è certo è che, fino a pochi anni fa, sembrava impensabile pensare a uno stato membro dell’UE che mettesse in discussione il pilastro fondamentale della stessa Unione, ovvero la democrazia liberale. Eppure è proprio questo che sta accadendo in Ungheria, e  i media italiani al momento sembrano essere dei silenti spettatori.

Nel paese magiaro le ultime elezioni nazionali si sono tenute nel  2014, e hanno visto confermare la maggioranza uscente guidata da Viktor Orban, primo ministro appartenente al partito di estrema destra Fidesz. Il vero problema è la schiacciante maggioranza conquistata dalla coalizione di governo, che supera i 2/3 del totale nell’unica Camera, ed è quindi in grado di modificare autonomamente la costituzione del paese. Le modifiche non si sono certo fatte attendere, e ognuna di esse lascia trasparire una deriva autoritaria del paese.

L’anno passato la nuova Corte Costituzionale, adesso nominata a maggioranza dal governo, ha dichiarato ammissibile una legge che addossa ai gestori dei siti internet ogni responsabilità dei contenuti pubblicati, anche i commenti dei visitatori. La pena, una multa salatissima. In aggiunta a ciò, il governo ha varato una legge “contra aziendam” che ha danneggiato gravemente gli introiti dell’emittente privata RTL Klub, una delle poche ad essere ancora indipendenti dal governo.

Lo smantellamento delle opposizioni è poi continuato con una serie di indagini volute dal governo contro alcune ONG di sinistra, accusate di appropriazione indebita di fondi statali e accusati dallo stesso premier di operare per conto di altri stati. Una dichiarazione, resa ancora più allarmante dalla pronunciata intenzione di rendere il paese una ‘democrazia illiberale’ sul modello della Russia di Putin.

Ma il lato peggiore del governo Orban è quello riguardante l’immigrazione e la povertà. Trincerandosi dietro una politica di rifiuto totale dei poveri e dei rifugiati, il governo ungherese calpesta prepotentemente i diritti umani. Dalla fine del 2013 i sindaci ungheresi possono cacciare dalle proprie città i senzatetto.

Infine, la questione dei rifugiati. Il governo ha da poco varato pene severissime per chi supera i confini ungheresi illegalmente, prevedendo l’arresto immediato e l’espulsione (o, nei casi più gravi, il carcere per tre anni). Inoltre, nel caso in cui i migranti fossero sprovvisti di documenti, spetta alle autorità locali decidere se la persona arrestata sia minorenne o meno, in base a dei parametri medici non specificati. Nel dubbio, quindi, meglio imprigionare un potenziale minorenne che scappa da una zona di guerra.

Ma la “ciliegina sulla torta” è l’ipocrisia con cui il governo Orban rimanda in Serbia i migranti arrestati al confine tra l’Ungheria e il paese balcanico. In quanto provenienti da un paese pericoloso, essi avrebbero diritto almeno a un’ospitalità temporanea, secondo il diritto europeo. Peccato che il governo ungherese abbia autonomamente deciso di riconoscere la Serbia come “paese sicuro”, aggirando così l’ostacolo del diritto internazionale.

Proprio per questo è nata la campagna “Wake up Europe[1]!”, che si propone di raccogliere 1 milione di firme per obbligare la Commissione Europea ad agire attivamente contro il paese magiaro e a metterne in discussione la stessa presenza nell’Unione. Nella speranza che l’UE avvii presto un’iniziativa contro un governo che viola così palesemente i diritti umani.

Purtroppo, la democrazia sembra non essere ancora immune dal virus dell’autoritarismo. Men che mai di questi tempi.