Qualche risata adesso si sente, il calpestio di bambini che corrono rincorrendo un pallone, il loro respiro più affannato rompe il silenzio, delle urla gioiose riescono a giungere anche in lontananza. I primi germogli di una possibile rinascita iniziano a sbocciare nei paesi colpiti dall’alluvione paesi in cui solo il silenzio straziante è stato udito per mesi.
Camminando per le strade non è più tutto deserto, le tende scivolano sui vetri delle finestre, dei piccoli bagliori di luce si scorgono tra le persiane, i volti non sono più solo rigati dalle lacrime, ogni tanto un sorriso riesce a illuminarli, piccoli passi si stanno compiendo per ricostruire qualche brandello di normalità.
Normalità che l’uno Ottobre 2009 è stata distrutta da una delle alluvioni più forti degli ultimi anni. Una tragedia annunciata, così è stata definita. Tragedia annunciata perché già avvenuta in passato e ignorata. Nessuna misura di prevenzione era stata prese nell’ottobre 2007, quando il fango aveva inondato il paese di Giampilieri, gli abitanti erano sicuri che sarebbe accaduto di nuovo. E non si sbagliavano.
Erano circa le sette di sera quando ha iniziato a piovere, nessuno poteva immaginare cosa sarebbe accaduto, eppure tutti avevano già molta paura. Solo poche ore dopo i paesi di Giampilieri, Molino, Altolia, Scaletta Zanclea, Briga e Itala erano stati ricoperti interamente dal fango.
I primi soccorsi sono arrivati dagli stessi sopravvissuti che, ancora increduli dinanzi all’accaduto, hanno iniziato a cercare i loro cari tra le macerie, macerie che nell’oscurità della notte sembravano quasi impenetrabili. La protezione civile e i volontari sono giunti dalla ferrovia, la situazione era disastrosa: fili scoperti, il fango ancora fresco, le richieste di aiuto arrivavano da ogni lato. Tanta paura, troppo caos.
“Lavoravo all’ufficio censimento e il mio compito, in quei giorni, è stato prima di tutto quello di ascoltare la gente, di ascoltare la loro disperazione. Avevano bisogno di conforto, di consolazione, a volte anche semplicemente di parlare” racconta Maria Santoro, Vicepresidente dell’Associazione di Volontariato del Nucleo Diocesano “lo shock subito è stato incredibile”. I bambini soprattutto, il ramo più fragile della società, hanno subito un grande trauma, trauma che non verrà cancellato dai loro ricordi in alcun modo. “Ci sentivamo impotenti di fronte a tanto dolore, non riuscivamo ad occuparci di tutti, a dare loro l’assistenza completa di cui avevamo bisogno. È una sensazione che avevo già provato nel 2007” continua Maria Santoro “la situazione era meno grave, ma il fango, anche quella volta, aveva ricoperto il paese”.
Le operazioni di soccorso sono durate settimane, ma ancora, in nessuno dei paesi colpiti, è tornata a regnare la serenità.
Una sezione della scuola materna di Giampilieri Superiore probabilmente verrà chiusa. Verrà chiusa in seguito alla mancanza di alunni: “Le madri dei bambini si spaventano di arrivare fin qui, hanno preferito iscrivere i loro figli in altre scuole” raccontano le maestre “Ci sono stati anche alcuni problemi con il pulmino della scuola: per legge ogni bambino della scuola materna deve avere un accompagnatore, altrimenti non può salire a bordo. Quando siamo tornati qui, dopo il nove febbraio, molti bambini non avevano più l’accompagnatore e così non trovavano il modo per venire a scuola”. Le maestre sono indignate dalla sottovalutazione del problema: “Ci è stato detto che la scuola dell’infanzia non è obbligatoria, quindi non aveva importanza. Ma resta pur sempre una scuola istituzionalizzata: se il genitore decide di iscrivere il figlio alla scuola materna deve avere garantiti tutti i diritti che ne conseguono”.
Anche stavolta l’amministrazione locale abbandona i cittadini.
Li abbandona anche nel momento in cui viene richiesto un supporto psicologico per i bambini. “Noi avevamo richiesto l’aiuto dell’Asp, aiuto che è arrivato dopo due mesi. I bambini a quel punto erano già tranquilli, avevano superato la fase più brutta, e noi non abbiamo più ritenuto che l’aiuto offerto fosse ancora necessario. Ogni famiglia si era già attivata privatamente”.
In realtà un supporto psicologico è arrivato dall’equipe di Catania, giunta a Giampilieri già il giorno dopo l’alluvione. Il gruppo era composto da psicologi istruiti ad affrontare eventi catastrofici: alluvioni, terremoti, avvenimenti che causano la perdita di punti di riferimento fondamentali come la casa, il proprio villaggio e gli affetti più cari.
Gli psicologi dell’emergenza vengono individuati dall’Ordine in base all’esperienza in campo lavorativo e alle competenze professionali, il lavoro dell’equipe viene svolto in stretta collaborazione con il Dipartimento della Protezione Civile. “Io sono giunta il week end successivo all’alluvione, però alcune mie colleghe erano sul posto già il giorno successivo” racconta Rosa Leonardi, psicologa dell’equipe di emergenza di Catania “siamo rimasti a Giampilieri fino alla fine del mese, quando poi è stato sospeso tutto. Essendo parte a tutti gli effetti della Protezione Civile il nostro lavoro doveva concludersi molto tempo prima, ma nonostante questo noi siamo rimasti lì”.
Il lavoro effettuato dall’equipe d’emergenza però si limita a ricoprire il luogo della calamità: “La maggior parte degli abitanti di Giampilieri sono stati spostati, sin da subito, negli alberghi, alberghi in cui venivano seguiti da altri colleghi” continua a spiegare Rosa Leonardi “il nostro lavoro, invece, è avvenuto sul luogo. Abbiamo assistito per lo più persone adulte, le richieste che avevamo erano quasi tutte in via ufficiosa: indossando il cartellino di riconoscimento era facile per i genitori individuarci e chiedere aiuto, ma per una questione di correttezza e di etica, nessuno di noi ha mai chiesto di vedere direttamente i bambini. L’azione che abbiamo svolto è stata, quindi, di supporto ai genitori”. Punto fondamentale per il benessere dei figli.
Uno degli errori più gravi che i genitori compiono è quello di evitare di parlare dell’accaduto: “Spesso succede che dopo un lutto i sopravvissuti al decesso non riescono a condividere il dolore, questo non fa altro che alimentare, per ogni singolo individuo, un senso di grande pesantezza” spiega la psicologa “una volta le madri davano una “premasticata” al cibo quando i bambini erano piccoli, questo serviva a rendere la pratica meno difficoltosa. Il paragone è lo stesso: il poter parlare della morte di una persona cara consente al bambino di “digerire” un po’ meglio determinati eventi”.
Ciò che è mancato a Giampilieri è stato un supporto duplice, ai genitori e ai figli, un supporto che gli permettesse di superare il trauma e imparare a conviverci. Attualmente molti dei bambini vivono ancora situazioni di disagio, situazioni di stress emotivo che non consentono loro di vivere una vita serena. Un intervento diretto, un’assistenza presente, a volte non è necessario un cospicuo numero di sedute per superare il trauma, a volte basta riuscire a parlarne per essere più sereni.