Hanno appena vinto il premio della giuria giovani al prestigioso FilmMaker festival di Milano per la
” capacità di raccontare il flusso di sogni e le sfaccettature di un cambiamento, attraverso un approccio che evidenzia sangue, imperfezioni e utopie di un mondo complesso che ci piace vedere emergere dal sottosuolo con delicata prepotenza.”
Sono Silvia Jop e Pietro Pasquetti , i due autori di Upwelling – La risalita dalle acque profonde. Un film che era nato come viaggio nell’arcipelago dei teatri occupati di tutta Italia, seguendo l’esperienza del Teatro Valle di Roma, ma che , in riva allo stretto di Messina , ha cambiato natura e obiettivi, trasformandosi in un’opera “sulla centralità di chi sta al margine”, come ha scritto su Repubblica Concita de Gregorio.
Un lavoro dalla gestazione lunga , Upwelling, che nei circa 24 mesi di permanenza dei due registi a Messina è cresciuto di pari passo con la confidenza di Silvia e Pietro con la città e i suoi abitanti. Una presenza costante che li ha fatti diventare osservatori partecipi e complici di una realtà in grado – a dispetto dei luoghi comuni – di svelare un inedito e interessante dinamismo.
” In una città sempre poco raccontata, o raccontata solo attraverso i fatti di cronaca “, conferma Silvia Jop, ” noi abbiamo trovato uno spettacolo straordinario : quello di una città che voleva risorgere dalle macerie in cui la storia l’aveva sepolta. Abbiamo voluto raccontare una rinascita. “
La rinascita o , per meglio dire, lo sforzo di rinascita ancora in corso è quello che si è generato a Messina fra l’autunno del 2012 e il presente. La felice congiuntura che ha visto nascere nello scatolone di cemento armato del Teatro In Fiera , situato in una delle zone più suggestive e cariche di storia dell’affaccio a mare della città dello stretto e abbandonato alla muffa da quasi vent’anni , l’esperienza del Teatro Pinelli Occupato e , quasi contemporaneamente , l’idea temeraria – condivisa all’inizio da pochi attivisti politici e sociali della sinistra cittadina – di candidare a sindaco un “alieno” rispetto alle logiche tradizionali come Renato Accorinti .
Due episodi della vita cittadina che , visti in retrospettiva , hanno avuto una potenza generativa inaspettata e per certi versi ancora feconda, nonostante il logoramento e la stanchezza frutto di un costante corpo a corpo con la realtà urbana contraddittoria e difficilissima a lasciarsi attraversare dalle spinte al cambiamento.
Come poteva e come può essere raccontata adeguatamente un’esperienza simile ? Con un linguaggio cinematografico diverso da quello del documentario classico. ” Upwelling sta a un reportage come una poesia sta a un testo in prosa ” racconta Jop . ” Le informazioni contano fino a un certo punto nel film” precisa Pietro Pasquetti, ” sono elementi che riecheggiano spesso, ma c’è più un desiderio di costruire un film per concetti , per visioni. Quello che in Francia chiamano documentario di creazione o film -saggio ( film essai ) ” .
E’una realtà contraddittoria dunque quella che i due registi non si limitano a mettere in scena né solo a pedinare ma rielaborano e sviluppano fino a farla diventare quasi metafora universale. Essa ruota attorno al nucleo della rinascita ma soprattutto a quello della catastrofe, che della rinascita è il necessario antefatto. ” Una catastrofe” incalza Pietro ” che non è solo quella storica del 28 dicembre del 1908 “, ma -etimologicamente- può essere ognuno dei punti di caduta e di risalita vissuti dalla comunità cittadina nella sua storia. Da qui l’esigenza di una rappresentazione fortemente visionaria che procede per ondate successive , esattamente come il movimento di risalita delle correnti marine profonde verso la superficie, l‘Upwelling del titolo, che avviene negli oceani come nelle acque dello stretto di Messina facendo riaffiorare a volte “creature favolose ” e mitiche. Esattamente come sono a loro modo “esseri favolosi e mitici”, oltre che persone in carne ed ossa i protagonisti del film: Giulia , Il sindaco Renato , con la sua cura per la rinascita spirituale della comunità messinese; Pietro, il sociologo anarchico, Max , l’occupante di spazi sociali , Danilo il pittore, che insieme a molti e molte altr* animano un’opera che Silvia Jop definisce “affollata” più che corale: ” un serpentone di voci , volti , situazioni, incontri e scontri” , che attraversa i luoghi della città, sottraendola al luogo comune che la vorrebbe paludosa e immobile per disegnarla invece come costantemente in movimento, rappresentabile come “un caleidoscopio le cui immagini composite cambiano a seconda del movimento del polso dell’osservatore”.
Naturalmente Silvia e Pietro non hanno la pretesa di aver detto la parola definitiva su Messina e suoi abitanti. ” Siamo impazienti di confrontare il nostro sguardo , che non è certo l’unico possibile, con quello dei protagonisti e , magari , del’intera comunità messinese. Vorremmo comprendere se e come si rispecchia nel nostro lavoro e se si riconosce nella parte nascosta e potenziale che abbiamo provato a far emergere”.
Intanto , concludono, “Noi siamo felici, felici che un film così lottato, cercato, perseverato e amato abbia convinto lo sguardo di giovani donne e giovani uomini che affidano al cinema il compito di provare a dire pezzi di vita e realtà.”