di Antonio Mazzeo
Cadmio, cromo, nickel. E anche un po’ di mercurio. Sono i metalli pesanti che avvelenano le nuove generazioni di Milazzo e della Valle del Mela, area della provincia di Messina classificata “ad elevato rischio di crisi ambientale” per la presenza di un megapolo industriale con tanto di raffineria (dove la notte del 26 settembre si è sviluppato un devastante incendio in un deposito di carburante), centrale termoelettrica, cogeneratore, acciaieria e altri impianti tossici ed inquinanti. Due anni fa, uno screening eseguito sugli studenti delle scuole medie locali dal Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale dell’Università degli Studi di Messina diretto dal Prof. Francesco Squadrito, ha evidenziato la presenza nelle urine di alcuni metalli pesanti altamente tossici per la salute umana, classificati come distruttori endocrini dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. Il monitoraggio biologico ha riguardato 200 alunni di età compresa tra i 12 ed i 14 anni, nati e vissuti nei comuni di Condrò, Gualtieri Sicaminò, Milazzo, Pace del Mela, San Filippo del Mela, Santa Lucia del Mela e San Pier Niceto. Per meglio comprendere il grado di esposizione agli inquinanti ambientali, il personale dell’Università ha eseguito il biomonitoraggio di un gruppo di studenti della stessa età residenti nel comune di Montalbano Elicona. “I programmi di biomonitoraggio risultano utili al fine di raccogliere indicazioni puntuali sull’effettivo grado di esposizione a sostanze di interesse tossicologico di gruppi di popolazione opportunamente scelti o di singoli individui”, spiega l’equipe del prof. Squadrito. “Anziché limitarsi a valutare la parte di inquinante misurata nell’ambiente che potrebbe penetrare nell’organismo umano, si dosa direttamente l’inquinante o i suoi metaboliti nell’organismo stesso. Abbiamo effettuato tutta una serie di attività con i giovani studenti della Valle del Mela: visita medica; raccolta delle urine (la matrice più usata per valutare il grado di esposizione ambientale o professionale a sostanze inquinanti); prelievi ematici per il dosaggio dei metalli pesanti e degli ormoni tiroidei e sessuali; ecografia pelvica nei maschi e alle ovaie nelle femmine; ecografia tiroidea”. Arsenico, cadmio, cromo, mercurio, nickel e vanadio i pericolosi metalli ricercati nelle urine; il piombo nel sangue.
“Per quanto riguarda il cromo, purtroppo, dai risultati appaiono chiari i superamenti del valore di riferimento in quasi tutti i comuni”, denunciano i ricercatori del Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale dell’Università di Messina. “Le aree maggiormente esposte risultano essere, in ordine di grado, quelle di San Filippo del Mela, Santa Lucia del Mela e Milazzo sebbene, per tutti i comuni monitorati, risultavano esserci in quantità variabile dei bambini che presentavano superamenti del valore limite, indicato per il cromo totale”. Mentre la quantità di cromo riscontrata nella popolazione di controllo di Montalbano Elicona si è attestata leggermente sotto il limite di legge fissato in 1,5 μg/l, il valore medio nei minori della Valle del Mela è stato di 2,1 μg/l, con punte massime di 5,1 tra gli alunni di San Filippo, 3,4 a Santa Lucia e 2,3 a Milazzo.
“Per il nickel, la media dei valori rilevata nei comuni monitorati non supera le concentrazioni indicate dal valore di riferimento di 3 μg/l ad eccezione di San Filippo del Mela (6 μg/l)”, aggiunge l’equipe. Sono stati comunque rilevati dei superamenti del valore soglia del nickel anche in alcuni preadolescenti residenti nei comuni di Milazzo e Santa Lucia. “Anche i risultati relativi al monitoraggio biologico del cadmio mostrano purtroppo superamenti per il valore limite di 0,5 μg/l, indifferentemente in tutti comuni della Valle del Mela. Come per i metalli precedenti discussi, anche in questo caso il numero di superamenti maggiori hanno riguardato San Filippo del Mela (1,3 μg/l), Santa Lucia del Mela (1,2 μg/l) e Milazzo (0,7 μg/l)”. Migliore il quadro sanitario sul mercurio. “Data l’assenza di attività produttive, come quelle dell’industria delle vernici e della plastica (vere responsabili delle emissioni di questo inquinante), nei comuni screenati non riscontriamo alte quantità di dose interna di questo metallo e nessun bambino monitorato ha presentato dei valori superiore al limite di riferimento”, scrivono i ricercatori dell’Ateneo peloritano. Quantità di mercurio poco al di sotto del limite di legge di 1 μg/l sono state tuttavia riscontrate, nell’ordine, nelle urine degli alunni di San Filippo, Milazzo, Pace del Mela, Santa Lucia, Gualtieri Sicaminò e San Pier Niceto. Va inoltre segnalato come uno studio sui metalli pesanti contenuti nei suoli dell’area di Milazzo, effettuato nel 1997 dal CCR (Centro Comune di Ricerca) dell’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA), aveva inutilmente evidenziato il superamento in alcuni campioni e per alcuni dei metalli analizzati (cromo, cobalto, rame e zinco) dei limiti di concentrazione previsti dall’Allegato 1 del D.M. 471/99 per siti destinati ad un uso residenziale.
“I distruttori endocrini causano effetti negativi sulla salute di un organismo intatto o la sua progenie e sono molto pericolosi per via della loro azione a lungo termine sul sistema endocrino”, afferma il Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale dell’Università di Messina. “I distruttori endocrini sono in grado di mimare l’azione degli ormoni naturalmente secreti dal corpo umano, provocando il deragliamento di molte normali funzioni fisiologiche. La loro tossicità è stata inizialmente sottovalutata per il relativamente basso impatto sugli adulti. Tuttavia queste sostanze hanno un’azione davvero spaventosa sulla vita nello stadio prenatale: sono in grado di oltrepassare la placenta e giungere indisturbate al feto, compromettendo gravemente lo sviluppo embrionale. Possono risultare malformazioni evidenti alla nascita, ma assai più spesso possono portare a conseguenze non rilevabili fino all’età puberale o adulta”.
Sono proprio i metalli pesanti come il cadmio, l’arsenico, il piombo, il mercurio, ecc. ad avere una tossicità per il sistema riproduttivo. “Nella popolazione femminile causano l’incremento di rischio di aborti spontanei, la morte fetale intrauterina e parti pretermine, mentre nei maschi inducono oligospermia e riduzione della motilità degli spermatozoi”, ammonisce l’equipe del prof. Squadrito. “Esperimenti di laboratorio con animali esposti in stadio embrionale a concentrazioni significative di distruttori endocrini causano patologie come sviluppo puberale precoce e precocissimo; elevato rischio di endometriosi nelle femmine; infertilità e gravidanze extrauterine; diminuzione della fertilità nei maschi; elevato rischio di criptorchidismo ed ipospadia (malformazioni dell’apparato genitale maschile) nonché di tumori (specie all’apparato riproduttivo) in età adulta; malattie autoimmuni; deficit immunitario; diabete tipo II; deficit cognitivi, limitato sviluppo cerebrale ed intellettivo, predisposizione alla violenza, patologie comportamentali”.
Ulteriori gravi patologie sono generate più specificatamente dai metalli pesanti rinvenuti in alte concentrazioni nelle urine degli studenti della Valle del Mela, primo fra tutti il cromo, utilizzato a livello industriale in numerose leghe e nell’acciaio inossidabile. Mentre i composti del cromo trivalente non sono normalmente considerati pericolosi per la salute, dal punto di vista biologico i composti del cromo esavalente (cromati e bicromati) sono ritenuti “molto tossici”. Classificato come cancerogeno per l’uomo (gruppo 1 secondo l’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro), il cromo esavalente può essere mortale se ingerito o assorbito anche attraverso la pelle. Questo metallo è responsabile di una lunga serie di effetti tossici cronici, tra cui congiuntiviti e cheratocongiuntiviti; dermatiti irritative e ulcerazioni a carico degli arti; laringite cronica, bronchite, asma; epatopatie e disturbi a carico del tratto gastrointestinale; rinite ulcerativa, con possibile perforazione del setto nasale. L’esposizione acuta comporta gravi danni a diversi organi, in particolare fegato e reni, con possibile evoluzione verso la morte.
“Quella dermica è una fondamentale via d’esposizione al nickel, anche se la principale via d’assorbimento resta quella respiratoria per inalazione di polveri contenenti composti di nickel relativamente insolubili o gas e aerosol derivanti da soluzioni contenenti nickel”, spiega il Dipartimento di Medicina Clinica. Fumi e polveri di solfuro di nickel sono considerati cancerogeni; molti altri composti di questo metallo sono sospetti cancerogeni. In letteratura vengono descritti effetti tossici soprattutto a carico dell’apparato respiratorio e disfunzioni renali oltre che irritazione della pelle ed ipersensibilità da contatto. “Il cadmio, invece, è biopersistente e, una volta assorbito da un organismo, rimane in esso per molti anni (nell’ordine di decine per gli uomini) prima di venire espulso; numerosi sono gli studi effettuati nei topi, che correlano la diminuzione del peso testicolare con alti livelli di cadmio”, si aggiunge. “La fonte principale di emissione è legata alla fabbricazione e all’industria di riciclo e smaltimento delle batterie di nickel/cadmio, inoltre si disperde nell’ambiente in seguito all’incenerimento dei rifiuti”. Sia il cadmio che i suoi composti sono tossici perfino a basse concentrazioni. Un’esposizione acuta alle polveri di cadmio pari a 5 mg/m³ è letale in circa 8 ore; esposizioni pari a 1 mg/m³ possono invece dare una tossicità rilevante a livello dell’albero respiratorio, con dispnea, tosse, febbre e astemia. Le polveri e i fumi di cadmio sono inoltre chiamati in causa come induttori di enfisema e carcinoma polmonare. L’ingestione di alimenti contaminati con cadmio può provocare invece diarrea, nausea, vomito e disidratazione. Una volta assorbito, il cadmio si lega ai globuli rossi e alle proteine plasmatiche per poi accumularsi principalmente nel fegato e nei reni. Nei soggetti cronicamente sovraesposti al metallo sono stati riscontrati anche osteoporosi, osteomalacia, calcolosi delle vie urinarie, anemia ferrocarenziale per riduzione dell’assorbimento del ferro, epatopatia.
Durante l’azione di biomonitoraggio nella Valle del Mela, l’Università di Messina ha pure effettuato il dosaggio di una serie di ormoni: nei maschi il testosterone e nelle ragazze l’LH (ormone che agiste sull’apparato riproduttivo femminile stimolando la formazione del corpo luteo e la secrezione del progesterone) e l’FSH (nelle ovaie stimola la formazione dei follicoli e la secrezione degli estrogeni). Inoltre è stato effettuato il controllo su tutto il campione di popolazione degli ormoni tiroidei T3 (triiodotironina), T4 (L-tiroxina) e TSH (l’ormone tireotropo che agisce sulla tiroide e stimola la produzione dei T3 e T4). “I dosaggi ormonali non hanno evidenziato differenze significative con gli standard di riferimento utilizzati nella pratica clinica, anche comparandoli con lo stadio dello sviluppo puberale dei soggetti in età adolescenziale”, affermano i ricercatori. “Anche i dosaggi degli ormoni sessuali non si discostano dagli standard clinici di riferimento, comparati con le ecografie e lo sviluppo puberale dei ragazzi”.
Onde eseguire un controllo più completo, l’equipe del prof. Squadrito ha proceduto infine con gli esami ecografici pelvici, testando sia lo stato delle ovaie che dei testicoli per correlarli, successivamente, con i dosaggi ormonali. “Lo stato ovarico e follicolare delle bambine non si discosta dai normali standard clinici di riferimento per quell’età”, si legge nel report finale. “Mentre per quanto riguarda la media del volume testicolare, come si evince dai risultati ecografici comparati con quelli ottenuti nei bambini controllo, risulta essere significativamente ridotta”. Nel corso di queste indagini ecografiche, in 31 soggetti maschi monitorati, si sono poi riscontrate una serie di alterazioni morfologiche dell’apparato riproduttore: 16 cisti epidimali; 8 varicocele; 5 idrocele; 2 cisti testicolari. Un risultati indubbiamente più che sconfortante.
“L’introduzione e l’attivazione di programmi di biomonitoraggio relativi all’esposizione ad inquinanti ad elevata persistenza ambientale, che tendono a bioaccumularsi e che siano rilevanti sul piano tossicologico, è legata alla possibilità di fornire elementi conoscitivi per i processi decisionali sulle priorità delle azioni di risanamento ambientale”, concludono i ricercatori del Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale dell’Università di Messina. “I siti inquinati e le popolazioni ivi residenti dovrebbero essere selezionati come oggetto di programmi di sorveglianza epidemiologica. L’analisi integrata dei flussi informativi e le indagini di monitoraggio biologico e ambientale, da effettuare su base periodica, rappresentano uno strumento rilevante attraverso cui implementare adeguate politiche di protezione e prevenzione”. Nella Valle del Mela, però, la politica è o collusa o sorda o assente. E la popolazione resta sola, disinformata e indifesa di fronte gli ecomostri del capitale e del profitto transnazionale