Il falso mito dell’eolico ha contagiato numerosi territori e realtà produttive, il cui destino è troppo spesso legato a doppio filo al business di stampo mafioso. Tra le regioni che più hanno “subito” le pale eoliche Calavria, Sicilia e Sardegna. All’Assemblea Regionale una nuova mozione dice “stop” all’eolico in Sicilia.
Hanno fatto discutere le ultime indagini riguardanti le infiltrazioni della mafia nel business dell’eolico. Secondo fonti della Banca d’Italia, infatti, questo sarebbe uno dei settori più ‘inquinati’ dalle intromissioni della criminalità organizzata.
Durante un’audizione del luglio 2012 presso la Commissione Parlamentare Antimafia, della allora manager di Palazzo Koch (oggi alla guida della Rai) Anna Maria Tarantola aveva parlato anche delle modalità di azione dei clan mafiosi nel comparto particolarmente bersagliato – dopo quello dei rifiuti e del movimento della terra – dell’energia eolica, soprattutto in Sicilia e in Calabria e di come gli interessi delle cosche locali gravitino intorno alle rinnovabili con una certa radicalità.
Dalle segnalazioni arrivate alle autorità competenti e dalle indagini condotte da l’UIF (Unità di Informazione Finanziaria) nel biennio 2010-2011 il coinvolgimento delle mafie nella realizzazione e gestione dei parchi di energia eolica è stato pienamente confermato. La stessa tarantola descriveva così il funzionamento dell’affaire eolico: “si parte dal reclutamento di società colluse incaricate di predisporre i progetti; con un meccanismo basato su un sistema di corruzione dilagante, tali società riescono ad ottenere le autorizzazioni necessarie per la costruzione degli impianti su determinati terreni, concessioni che poi vengono rivendute alle imprese coinvolte nella costruzione vera e propria degli impianti eolici”. In quella stessa audizione veniva poi svelato l’ingranaggio sottostante di quelle che oggi vengono definite ‘ecomafie’.
Ad essere toccate, neanche a farlo apposta, le regioni del Mezzogiorno d’Italia. Sicilia, Calabria e Sardegna.
Nel corso di indagini svolte a seguito di intercettazioni, si scopre come nel 2011 era operativo un ‘braccio’ pronto a fare della Sardegna una piattaforma eolica. Secondo la Procura di Roma, 14 dei 20 indagati tra politici, imprenditori, funzionari, avrebbero costituito un’associazione segreta (violazione della legge Anselmi) con lo scopo, fra gli altri, d’invadere la Sardegna con parchi eolici, facendo affari su terreni a prezzi di saldo perché inquinati. Uno scandalo che investì la Regione Sardegna ma di cui ad oggi non sembra aver fatto seguito alcun atto.
A Catanzaro, invece, i pm hanno ravvisato il reato di corruzione per il presunto pagamento di una maxi tangente. L’accusa sosteneva che per la realizzazione del Parco eolico ‘Pitagora’ di Isola Capo Rizzuto e per le linee guida sull’eolico in Calabria fu promesso il pagamento di una tangente di 2 milioni e 400 mila euro, pari al 2% del valore della struttura, di cui 912 mila euro effettivamente corrisposti per un contratto finalizzato allo sviluppo dei parchi eolici in Calabria.
In Sicilia l’affaire tocca addirittura il vertice di ‘Cosa Nostra’. I carabinieri eseguirono l’anno scorso nelle province di Trapani e Palermo un’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dalla procura distrettuale antimafia nei confronti di sei indagati per associazione mafiosa, intestazione fittizia di beni corruzione aggravata e altri delitti, nonché un decreto di sequestro preventivo di beni per un valore stimato di 10 milioni di euro. Al centro delle indagini del Ros e del comando provinciale di Trapani l’infiltrazione delle famiglie mafiose di Castelvetrano e Salemi in attività economiche del settore delle energie rinnovabili, realizzata attraverso la sistematica acquisizione dei lavori per la realizzazione di impianti di eolici e fotovoltaici nelle province di Agrigento, Palermo e Trapani. I proventi venivano in parte utilizzati per sostenere la latitanza del Matteo Messina Denaro.
Nonostante siano state accertate le ingerenze delle cosche nella pianificazione dell’eolico , nell’Isola l’ultimo rapporto sull’Energia della Regione (2012) conferma come la fetta più rilevante della produzione verde è rappresentata dalle pale eoliche. L’aggiornamento a giugno 2011 vede complessivamente 403 impianti autorizzati distribuiti principalmente tra Agrigento (74), Ragusa (67), Siracusa (59), e Palermo (56). Trascurabile la situazione di Messina (11) e Caltanissetta (21), mentre si collocano ad un livello medio Trapani (45) Catania (40) ed Enna (30). Nonostante gli scandali, il boom del grande eolico, che ha favorito anche le parallele attività illecite all’interno del settore, ha diffuso in diverse parti della Regione le fattorie eoliche al punto che l’Isola resta la seconda regione d’Italia (23,5%) per numerosità e potenza di impianti.
Ma nel comparto eolico non sono solo le cosche a pilotare le concessioni. Anche all’interno della macchina regionale insistono atteggiamenti poco trasparenti.
Fin dal primo giorno del suo insediamento, il Governatore Rosario Crocetta manifestò pubblicamente, anche in tv, il timore che la “mafia fosse presente dentro la Regione”. Per poi articolare il concetto non utilizzando più il riferimento malavitoso ma riconducendo tutto ad una gestione in cui funzionari, definiti dallo stesso Presidente della Regione “scissi”, favorissero pratiche facili e parlando di atteggiamenti e abusi, forme di prepotenza comunque assimilabili alla ‘mafiositá’.
Nei giorni scorsi, il Parlamento siciliano ha posto gli estremi per un’azione politica che mettesse freno agli affari dell’eolico. Nel testo della mozione approvata lo stop all’autorizzazione di nuovi impianti eolici in Sicilia. “Adesso il governo non si limiti ad annunci di principio ma faccia rispettare questa precisa indicazione all’amministrazione regionale”. Lo ha detto Antonello Cracolici, deputato regionale del PD e promotore della mozione.“Bisogna dirlo chiaro e tondo – ha detto Cracolici, rivolgendosi all’assessore all’Energia Nicolò Marino, presente in aula – gran parte degli impianti eolici installati in Sicilia non servono a produrre energia, ma a utilizzare i finanziamenti pubblici per la loro realizzazione. La nostra regione, infatti, produce oggi una quantità di energia superiore ai limiti consentiti, e la nostra rete non reggerebbe ulteriore immissione di energia: mi chiedo quindi perché autorizzare impianti eolici che stravolgono il paesaggio”. “Vogliamo però – ha aggiunto Cracolici – che la volontà politica di fermare nuovi impianti abbia una conseguenza amministrativa. Visti gli interessi che ruotano attorno all’affare dell’eolico il governo non può permettersi tentennamenti”.“Per troppi anni in Sicilia ci sono stati affaristi e mafiosi che volevano controllare il business legato all’acqua ed ai rifiuti, basti pensare alla vicenda dei termovalorizzatori: non possiamo permettere – ha concluso in aula Cracolici – che tutto questo si ripeta con l’eolico”.
Un quadro diverso da quello dipinto nel libro “Controvento” di Antonello Caporale. In quelle righe la bellezza di un sud che non si limitava al mare e al sole. Un ritratto di sud completamente diverso. Un luogo di vento, un luogo dove non prevale la terra, ma l’aria, ciò che a terra non c’è e, in generale, ciò che non c’è e che se c’è fugge via subito, soffiato lontano. Caporale è consapevole che il “suo” sud non è l’ultimo lembo d’Europa in cui vivere del dono paesaggistico e naturalistico ma ci restituisce un testimone di ciò che significa guardare al sud come una terra in cui la natura domina sull’uomo. E noi vogliamo crederci, nonostante tutto.
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