Ieri: tornei cavallereschi, ville aristocratiche dagli ampi parchi, chiese, giardini, teatri, biblioteche. Oggi: spartitraffico adibiti a porta rifiuti, collinette di spazzatura, fondo stradale che richiama il celebre formaggio svizzero, cartelli stradali ricamati da colpi di arma da fuoco, tornei di corse dei cavalli, rotonde che ricordano le romantiche distese della prateria. In due parole: il viale Giostra, Messina.
Una delle vie principali della città, antico torrente la cui copertura ebbe inizio negli anni ’70, il viale Giostra vanta un passato ricco di eventi non solo storici, ma anche culturali, sociali e naturali. Attualmente rappresenta una parte della città di cui i cittadini stessi non vanno molto fieri, una “brutta zona”, per intenderci. In pochi sanno che ciò che oggi consideriamo come la piena manifestazione di cattiva amministrazione, incuria e assoluta inciviltà, un tempo era ben altro. Timidamente resistono, fanno capolino, i resti di una storia dimenticata, offuscata dagli eventi e dall’agire umano. Con la forza e l’umiltà tipica dei monumenti, sopravvivono poche tracce, testimoni di un passato da rispettare, a dispetto di un presente da ignorare.
Sin dal nome l’antico torrente difende le tracce della propria storia. Le giostre: gli antichi tornei cavallereschi che si tenevano nell’omonima contrada, e che vivono nei libri e nella memoria di quanti la storia, la nostra storia, non vogliono dimenticarla. Questa “brutta zona” aveva il sapore del Medioevo, accoglieva le gesta dei cavalieri, i tornei, i festeggiamenti.
Risalendo le sponde del torrente con gli occhi di chi vuole indagare, si scoprono le tracce che lottano contro la cecità comune, urlando la propria presenza, combattendo tra il relitto di una vettura e un cassonetto carbonizzato. La prima che incontriamo è la nota chiesa di Gesù Sacramento, conosciuta come S. Orsola. Nonostante l’attuale struttura sia stata inaugurata l’ 1 luglio 1928, risale all’epoca pre terremoto, e le sue origini affondano indietro fino al 1216. Al suo interno, uno splendido affresco del pittore Andrea Bonanno. Quella che oggi è ricordata come “la chiesa davanti al mercato”, rappresenta una realtà ben diversa.
Continuando la nostra virtuale ascesa tra rifiuti, immondizia ed erba alta, ci troviamo al cospetto di una struttura sepolta da terra, calcinacci e impalcature. Dall’asfalto spuntano timidamente i resti di una porta in pietra, affiancata da un cartello crollato la cui scritta è ormai coperta da ruggine e colpi di pistola. Questa savana è in realtà quanto resta della settecentesca Villa De Gregorio. Originariamente adornata da statue marmoree e decorazioni sopravvissute al terremoto e ai bombardamenti per poi essere rimosse nel dopoguerra, la villa era circondata da uno splendido parco. Unico sopravvissuto, un esemplare di Ficus Magnolideis Borzì, dalla chioma la cui superficie raggiunge i 2000 metri quadri, secondo in Italia solo all’esemplare custodito dall’Orto Botanico di Palermo. Sito dalla storia centenaria, nelle sue stanze ospitò il celebre scrittore Johann Wolfgang von Goethe, durante il suo viaggio in Italia nel 1787. Ciò che oggi viene visto come l’ennesima dimostrazione dell’incuria e dell’inciviltà dilagante, un tempo era luogo di cultura, di fermento intellettuale. Quotidianamente centinaia di persone calpestano quelle strade, buttano sigarette, cartacce e chissà cos’altro, o transitano del tutto indifferenti sui luoghi in cui passeggiava l’uomo definito da George Eliot come «uno dei più grandi letterati tedeschi e l’ultimo uomo universale a camminare sulla terra». Avviato di recente il progetto di un parco urbano che dovrebbe restituire l’area alla fruizione del quartiere, ma al momento interrottosi anche a causa di una richiesta di rielaborazione dello stesso da parte della Soprintendenza nei confronti dello IACP.
Nell’adiacente quartiere di Villa Lina, la chiesa di S. Matteo, progettata da Carlo Saladino del Bono e completata il 30 luglio 1932. Struttura eclettica che unisce stile romanico e gotico, conserva all’interno due paliotti intarsiati settecenteschi della chiesa di S. Gioacchino, oltre a dipinti del Russo. Sul fianco meridionale, un’antica porta databile al 1489 contiene l’immagine del Pantocratore entro arco ogivale, proveniente dalla chiesa di S. Barbara al Tirone.
Continua la ricerca di testimoni di un passato in cui il fermento culturale e intellettuale si respirava per le strade. Quelle stesse strade in cui oggi si respirano i fumi dei cassonetti dati alle fiamme. Risalendo verso la collina di Tremonti si erge il Seminario Arcivescovile, nell’area di Villa De Pasquale, opera eclettica di Francesco Barbaro eretta negli anni ’30 del ‘900. Sede della Biblioteca Painiana, conserva fondi librari preziosi e cimeli storico artistici come i cartoni del Sartorio per i mosaici della cattedrale. Nel giardino, una fontana del 1611 proveniente dal palazzo arcivescovile di via I Settembre.
Risalendo ancora il torrente, vicino all’ingresso per Tremonti, l’importante complesso archeologico di S. Maria del Gesù, presenta una ricca stratificazione che va dal Medioevo alla fine dell’Ottocento. Il sito è al centro di un acceso e controverso dibattito in merito alla presenza, o meno, dei resti del pittore Antonello da Messina. L’attuale chiesa di S. Maria di Gesù superiore, costruita nel 1934 su un terreno donato dalla famiglia Arau, conserva un antico crocifisso, una Madonna con Bambino benedicente e base istoriata del sec. XVI di bottega calamecchiana, una Immacolata in cartapesta e legno ed altri importanti cimeli provenienti dalla chiesa distrutta.
Ma non solo chiese. Altre le strutture che, seppur ormai vive solo nella memoria custodita dai libri e dagli anziani, testimoniano una realtà che si muoveva per queste strade oggi evitate dalla “Messina bene”. La realtà della cultura, del teatro. Il teatro dei pupi, realtà unica, inimitabile, che rende la Sicilia, e in particolare Messina, titolare di un primato unico al mondo. E proprio a Messina le famose marionette trovarono casa. Fin dal 1912 l’opera della famiglia Gargano a Messina colorò la città con i luccichii delle armature e la vivacità delle imprese di Orlando e compagni, quasi a riprendere idealmente quel “filo delle giostre” interrottosi bruscamente. E’ a Venerando Gargano, figlio di Don Rosario Gargano, che si deve l’apertura di ben 5 teatri stabili dell’opera dei pupi a Messina, uno di questi, inutile dirlo, sul viale Giostra, nel rione di S. Matteo.
L’elenco di vecchi richiami a un passato che fa a pugni con il presente potrebbe continuare, ma l’argomento meriterebbe molte pagine con il risultato di annoiare quanti abbiano avuto la pazienza di leggere fin qui. L’invito è quello di non cullarsi sulla facile rassegnazione e di non limitare tutto alla semplicistica sfilza di lamentele. L’invito che si vuole fare è quello di cominciare a guardare con occhi diversi ciò che volontariamente evitiamo. Le cose che meritano attenzione non sono solo quelle protette da un nastro rosso. La bellezza di un sito non è proporzionale al biglietto da pagare. La bellezza è sotto i nostri occhi. La bellezza spesso emerge ammaliante come un fiore sepolto coperto da una nuova brina di luce. Sicuramente l’incuria di chi dovrebbe proteggere certi luoghi non rende il lavoro più facile. Ma se si guardasse con gli occhi del rispetto ai luoghi che silenziosamente resistono alla storia, il rapporto tra munnizza e nobiltà sarebbe decisamente diverso.
Gaia Stella Trischitta
Giuseppe Finocchio