Vibo V. Operazione antimafia della GdF

I militari del Comando Provinciale della Guardia di Finanza di Vibo valentia, del Raggruppamento Operativo Speciale e del Comando Provinciale dei Carabinieri di Catanzaro hanno proceduto all’esecuzione di un’ordinanza di custodia cautelare in carcere, emessa dal GIP del Tribunale di Catanzaro su richiesta della locale Procura Distrettuale Antimafia, nei confronti di 9 indagati, alcuni dei quali legati al clan Mancuso di Limbadi (VV), ritenuti responsabili a vario titolo di abuso d’ufficio, falsità ideologica, turbata libertà degli incanti, corruzione, peculato, estorsione violenza e minaccia a pubblico ufficiale aggravata dal metodo mafioso.

L’intervento ha interessato la Calabria, il Lazio e la Toscana ed il Veneto, e ha previsto la contestuale esecuzione di un Decreto di sequestro preventivo di beni per un valore di circa 2 milioni di euro e l’interdizione dall’attività a carico di una società operante nel settore finanziario.

I provvedimenti scaturiscono da un’articolata manovra investigativa congiunta e coordinata dalla Procura di Catanzaro, che ha consentito di documentare l’esistenza di un comitato d’affari composto da esponenti politici, imprenditori, amministratori pubblici e affiliati alla ‘ndrangheta costituito allo scopo di gestire le risorse del progetto regionale “credito sociale” finanziato con fondi della comunità europea, finalizzati all’erogazione di micro-crediti a favore di nuclei familiari in difficoltà economiche.

L’indagine ha raccolto consistenti elementi probatori a carico di N.S., all’epoca dei fatti Assessore al lavoro e alle politiche sociali della Regione Calabria, oggi Onorevole Consigliere Regionale di minoranza al quale sono contestati i reati di abuso d’ufficio, turbativa d’asta, corruzione e minaccia a pubblico ufficiale aggravata dal metodo mafioso.

In particolare il S., nel quadro del più ampio progetto criminoso, esercitava una pressione continua nei confronti di dirigenti preposti al proprio assessorato, al fine di imporre le sue scelte che gli avrebbero garantito ampia discrezionalità nella gestione del progetto credito sociale e dei relativi fondi comunitari.

Con la complicità di V.C., all’epoca Direttore Generale reggente del Dipartimento di riferimento dell’Assessorato e di P.R., all’epoca Presidente della F. C. E., affidava la gestione “economica” e “finanziaria” del fondo, cioè l’attività di erogazione dei sussidi in questione, ad un soggetto esterno, individuato nella società finanziaria C. S.p.a., di cui era amministratore delegato l’indagato M.O..

Gli accertamenti bancari svolti hanno consentito di tracciare il corrispettivo in denaro percepito dal S. per l’esternalizzazione del servizio di erogazione dei mini-crediti, in base a un accordo corruttivo in virtù del quale l’affidamento alla società C. sarebbe avvenuto in cambio di una somma di circa 230.000,00 euro.

Le indagini hanno, inoltre, documentato l’intimidazione organizzata dal S. nei confronti di un funzionario della Regione che si era opposto alle sue pretese ostacolando l’iter amministrativo e andando contro il complessivo progetto criminoso.

A tal fine il S. si rivolgeva a due pregiudicati notoriamente indicati come riferibili alla cosca Mancuso, che minacciavano il riottoso funzionario nel corso di un incontro svoltosi all’interno di un vivaio documentato dai Carabinieri del ROS, il quale era costretto in seguito a desistere e consentire lo svolgimento delle operazioni di gestione del progetto secondo i voleri del S. e del comitato affaristico/criminale, affidando la procedura per assegnare il servizio di esternalizzazione a V.C., dirigente regionale longa manus del S., che affidava la gestione dello strumento di ingegneria finanziaria alla F. C. E. (in realtà priva di competenze e dei requisiti per la gestione di uno strumento finanziario di microcredito). La predetta fondazione, sotto la guida di P.R., altro uomo “in affari” col S., nel giro di appena 8 giorni provvedeva a assegnare il servizio alla C. S.p.a.

Gli specifici accertamenti bancari svolti dalla Guardia di Finanza hanno consentito di documentare come la predetta finanziaria aggiudicatrice, sotto la guida del suo rappresentante legale M.O., si appropriava di ben 1,9 milioni di euro di fondi pubblici di matrice comunitaria, tra cui somme che venivano versate su conti correnti di N.S. per un importo complessivo di 230 mila euro.

I residui fondi messi a disposizione dalla Regione venivano gestiti da C., mediante riversamenti su propri conti correnti intestati principalmente ad una società partecipata, per effettuare prestiti cambializzati nell’ambito della sua normale attività di finanziaria.

In più, in maniera altrettanto spregiudicata e disinvolta, la quota di circa 800 mila euro ancora giacente sul conto corrente dedicato, veniva “investita” in Svizzera, con la causale “progetto giubilare” in capo ad una società sulla quale sono ancora in corso accertamenti.

Tale operazione veniva condotta con la consapevolezza della provenienza pubblica del denaro utilizzato, unitamente a due soggetti, già “attivi” nel mercato finanziario illecito.

L’intero progetto criminoso, già di per sé estremamente grave, assume i caratteri di allarme e pericolo ove si consideri che tale operazione è stata avallata e resa possibile dall’intervento di chiara matrice intimidatoria di soggetti riferibili alla famiglia di ‘ndrangheta dei Mancuso (gli arrestati), intervento resosi indispensabile e eseguito al momento giusto per il raggiungimento del programma criminoso ideato dal comitato d’affari nel quale ogni componente ha contribuito secondo le proprie competenze e specialità che, nel caso della famiglia Mancuso, sono l’esercizio delle classiche metodologie mafiose di minaccia e intimidazione. Per tale determinante intervento la famiglia Mancuso riceverà in cambio una serie indiscriminata di assunzioni presso l’Ente Regionale C. E., una delle quali in favore di un cognato dello stesso capo cosca L.M..