Dopo l’attentato di Parigi, a Milano ho sentito intonare cori razziali, ho visto gente non prendere posto vicino alle persone di colore non importa se islamici o meno. Ho visto liberarsi sentimenti contrastanti. Un modo come un altro per esorcizzare la paura. Ho visto in fondo agli occhi di molti nascosta bene dopo la paura e la rabbia la nostra vera essenza.
Ero seduta davanti al mio caffè e all’improvviso dalla porta in fondo al locale entra lui, lo chiamerò Al. Non conosco il suo nome ed intenderci è stato complicato. So solo che è rumeno e non parla l’italiano. Sembrava un barbone come tanti eppure dopo la paura e il senso di dispersione arrivava il suo animo buono. Si percepiva anche a distanza. Pochi soldi in mano, ma abbastanza per comprare del vino per scaldarsi visto i pochi panni che indossava e il freddo che ultimamente pervade Milano, e delle sigarette. Cercava delle sigarette, le voleva comprare. Ma la domenica in certe zone di Milano trovare un tabacchi aperto è difficile e per chi non ha la nostra tessera sanitaria che ne attesti la maggiore età farlo in un distributore è impossibile.
Guarda il cameriere che tentenna nel dargli il vino, io mi avvicino e gli chiedo di dargli il bicchiere, ha i soldi per pagarlo. Al mi guarda e mi fa cenno di non preoccuparmi perché preso il bicchiere, andrà via.
Passano le ore mi scorgo fuori ed è ancora lì seduto sul marciapiede, ci passerà la notte lì. Ha freddo trema, trema così tanto da far sentire i suoi denti battere. Nessuno lo ha mai visto, sembra essere arrivato in Italia da poco. Ha 55 anni e ne dimostra dieci in più.
Torno dentro.
Dopo poco arriva una signora ben vestita siamo in una via della ‘Milano benestante’. Chiede un tè caldo da portar via. È per Al. Prende il cellulare e chiama gli addetti del servizio comunale milanese che si occupano dei senzatetto.
Dopo un’ora circa arrivano. Al ha paura e piange non vuole andare via, non li conosce, non li capisce. Non comprende le loro intenzioni. Non possono prenderlo con la forza e quindi vanno via. Al è lì nuovamente solo ma adesso è sereno. Torna sul suo marciapiede e nel frattempo qualcuno gli ha portato dei maglioni e una coperta.
Vado via. E torno il giorno dopo. Mentre intravedevo la sua sagoma da lontano, si avvicina una ragazza che mi scorge a fissarlo: “Ripenso a tutte le volte che correvo a casa da mia madre con in mano un uccellino, un gatto o qualunque altro animale che trovavo in difficoltà. Vorrei prenderlo per mano correre a casa e urlare: ‘Mamma, mamma , ho trovato un nonno!’. Ma ormai siamo così abituati ad essere dei semplici numeri che tutto si calcola in costi e ricavi. O siamo costi o siamo ricavi”.
Prendo un caffè, mi siedo. Il cameriere mi racconta che sono già entrate circa 10 persone dal mattino per prendere qualcosa da mangiare o da bere per Al. Arriva Anna una signora molto conosciuta nella zona ed è proprietaria di un appartamento adiacente al bar. Mi conosce e si avvicina.
– Vieni Anna, prendi un caffè con me!
Mi guarda è sta fremendo deve dirmi qualcosa, io continuo a bere il caffè.
– Ma hai visto quel barbone fuori?
– Sì
– E non facciamo niente, non chiamiamo la polizia?
– Perché devi chiamare la polizia? Per cosa lo dovremmo fare arrestare?
– Mha, non lo so! Ha il permesso di soggiorno?
– Non lo so, ma credo sia rumeno. Difficile intenderci. Non parla l’italiano.
– Ma non facciamo niente?
– Sono venuti quelli del comune ieri per portarlo in un centro di accoglienza almeno per la notte non è voluto andare, vorrà stare lì. Starà lì!
Rispondo alla rabbia di Anna volutamente con l’indifferenza ed improvvisamente non vuole più farlo arrestare, ma aiutare e la mia leggerezza la urta.
– Questo non mi sembra un atteggiamento giusto. Troppa indifferenza.
Sorrido. Cosa vuole Anna? Vuole che Al vada via da lì perché se ne preoccupa o perché teme per se stessa o entrambe le cose? O perché un barbone lì, in quella via, non può starci?
Avvicino uno dei marocchini che vende le rose in quella zona, ognuno ha la sua zona di Milano dove poterlo fare. Gli chiedo s’è possibile portarlo in un posto che non sia la strada. Mi chiede s’è marocchino e io gli dico che è rumeno: “No! Marocchini e rumeni non vanno d’accordo!”. Va via, ma prima di andare mi dice: “Se ha dei soldi verranno a prenderglieli” “Chi verrà?” “Gli altri della strada!”.
Al è lì e vive di ciò che gli altri gli donano ed è una storia come molte. Dopo 4 giorni Al non c’è più, immagino che avrà ripreso il suo viaggio. Perché se anche così non fosse nessuno lo cercherebbe o se ne preoccuperebbe.
In bocca al lupo Al!