Sta tremando il tetto, la pioggia è troppo forte, tanto forte che sembra quasi di stare all’aperto e non dentro un’abitazione, i muri si inumidiscono e poco tempo dopo l’acqua penetra attraverso le crepe delle pareti. Sta piovendo fuori, ma anche dentro casa.
Da stamattina siamo a Fondo Fucile, un quartiere degradato di Messina, e stiamo parlando con la gente. Siamo arrivati quando il sole batteva forte nel cielo ce ne andiamo un po’ bagnati. Bagnati dalla pioggia arrivata nel pomeriggio e soprattutto bagnati dalle lacrime di chi non ce la fa più. Raccontare questo quartiere è raccontare la nostra città, raccontare di quelle zone, purtroppo non poche, in cui i bambini vivono in condizioni disastrose, raccontare di scuole costruite in mezzo all’amianto, raccontare di famiglie di quattro, cinque persone costrette a dormire in una sola stanza perché le altre sono inagibili.
Raccontare Fondo Fucile è raccontare la storia di un’area di 5400 metri quadrati in cui sono costruite 147 baracche, ognuna di queste ricoperta di amianto, e ognuna di queste ospitante intere famiglie, a volte anche generazioni di famiglie, i cui bambini sono le principali vittime innocenti. I baraccati, così sono stati più volte chiamati con disprezzo, vivono in quest’area da moltissimi anni, generalmente sono nati e cresciuti lì, altre volte vi si sono trasferiti con la promessa che sarebbero rimasti solo pochi mesi. Ma queste promesse sono sempre state solo parole. Quattro denunce alla Procura della Repubblica non hanno fatto muovere le acque, tutto resta immobile. L’attenzione viene loro data solo durante il periodo delle elezioni, in cui i vari politicanti di turno, senza distinzione alcuna tra i differenti partiti o colori politici, vengono in visita per fare le loro belle passerelle e chiedere, anche se implicitamente, un voto. E di voti ne hanno ottenuti eccome, non per le loro belle azioni, ma elemosinando pasta e promettendo cose che nessuno mai ha realizzato. E adesso loro sono stanchi. “Non crediamo più a nessuno, non sappiamo cosa fare, abbiamo scritto a chiunque, mandato e-mail, abbiamo bloccato strade, senza ottenere niente” ci raccontano con rabbia, e noi non sappiamo cosa rispondere. Del resto cosa si potrebbe dire? Bugie ne hanno sentite fin troppe. Case allagate, uno sportello della cucina che non apre più, tubi rubati, letti allontanati dalle pareti per non essere troppo a contatto con l’umidità invadente, abitazioni gelide, fogne che penetrano dai pavimenti, come potrebbero più credere che le cose cambieranno?
E come se non bastasse, ultimamente sono anche peggiorate. A settembre 2011, infatti, è stata “bonificata” un’area contente 20 baracche, ma lo smantellamento di queste ha distrutto tutte quelle che erano costruite attorno. C’è una semplice legge che consente alla baracche di non crollare del tutto: reggersi l’una con l’altra. Nel momento in cui 20 di queste vengono demolite, le altre iniziano a crollare piano piano.
“Da quando hanno abbattuto le abitazioni qui intorno, a casa mia si sono creati dei veri e propri buchi, delle voragini da cui entra l’acqua a ogni pioggia”, racconta una delle donne che vive nella cosiddetta area bonificata. Area bonificata che di bonificato non ha proprio niente. Una discarica a cielo aperto, siringhe, spazzatura, erbacce, pezzi di abitazioni distrutte, un materasso abbandonato, e puzza, una puzza che entra dalle narici e penetra fino alle ossa, una puzza da cui non ci si riesce a liberare per quanto è forte e dannosa. E ancora, i vandali. Perché oltre a tutti i problemi causati dalle terribili condizioni di questa zona ci sono anche i vandali, i delinquenti, i tossicodipendenti: tutti coloro che appena vedono una baracca incustodita se ne impadroniscono, rubano, lasciano la zona ancora più disastrata di quanto già non lo fosse.
“C’è stato un periodo” ci raccontano “in cui non potevo andare a lavoro e lasciare la casa, e se avevo la necessità di farlo lasciavo mio figlio a controllarla”, bastavano poche ore per impadronirsi di beni fondamentali, poche ore per danneggiare ciò che già si trovava in condizioni critiche.
“La vuole sapere la verità? Non da persona che vive in questa zona, ma da cittadina di Messina. La verità è che a nessuno conviene toglierci da questo posto e darci delle case, non gli conviene perché loro qui sanno che possono trovare dei voti”, che altro senso potrebbe avere abbattere solo una parte delle baracche e lasciare tutto il resto? E in tutto questo lo IACP (Istituto Autonomo Case Popolari) dov’è? Liste infinite sono state stilate per scrivere tutti coloro che avrebbero diritto a un appartamento, liste in cui molte famiglie sono scritte da non si sa più da quanti anni, liste in cui spesso ha la precedenza chi vive in queste zone solo da poco tempo. Ma qual è l’aiuto concreto che lo IACP ha dato a queste famiglie?
Nessuno, da quello che ci raccontano c’è un grande astio nei confronti di quest’ente, più volte infatti, si sono recati a chiedere aiuto ma, forse per una concreta impossibilità, forse per mancanza di volontà, non si è mai fatto niente. “Le case chiuse a cui potremmo accedere sono moltissime, molte di più di quelle che ci mostrano, ma non ce le vogliono dare” continuano a raccontarci. Sei le famiglie che escluse dalla graduatoria definitiva, a causa della mancanza della residenza anagrafica in loco. “Abito in questa casa da quando sono nata, quindi da 36 anni, solo per sei mesi ho lasciato questo posto, e loro in base a quei sei mesi mi hanno dichiarato non idonea”. L’approvazione della graduatoria definitiva è stata fatta il 15 Febbraio 2010, tramite la delibera n°140; nonostante un ricorso al Tar di Catania, discusso il 26 Maggio 2010, con la richiesta di annullare tale graduatoria, nulla è stato ottenuto. Il Tar ha rigettato la proposta.
E loro, dopo anni di lotte, vivono ancora lì, con l’acqua che entra dentro casa ogni volta che piove, con le fognature che penetrano dal pavimento, il tetto che trema per un leggero temporale, e con dei figli da crescere in un posto dimenticato da tutti.