Il dibattito culturale internazionale sulla condizione della società contemporanea mette in evidenza il bisogno e la consapevolezza da parte dei cittadini responsabili di porre le basi per un mondo migliore, diverso da quello proposto fino ad oggi.
È comune l’esigenza di una protezione dell’ambiente che sappia dare delle risposte alternative alla crescente domanda di energia. L’uomo attento ai processi economici e sociali ha capito che questo tipo di sviluppo e di globalizzazione ha delle grosse contraddizioni, basti pensare a come la ricchezza prodotta non fa altro che aumentare fortemente le disuguaglianze, a come la diffusione di internet e della telematica non vince l’analfabetismo e l’ignoranza, a come tutte le scoperte scientifiche non evitano pestilenze che possono essere definite medievali. Sostanzialmente possiamo dire che oggi la crescita economica, scientifica e democratica non coinvolge l’intero pianeta e che il modello capitalistico appare come parzialmente inefficiente e soprattutto causa di profonde ingiustizie.
Il mercato capitalistico si basa sull’extraprofitto e sullo sfruttamento sfrenato delle risorse naturali, come viene affermato in questo messaggio di una donna indiana ai capi delle nazioni occidentali: “quando avrete inquinato l’ultimo fiume e avrete preso l’ultimo pesce, quando avrete abbattuto l’ultimo albero allora e solo allora vi renderete conto che non potete mangiare tutto il denaro che avete ammucchiato nelle vostre banche”. L’imperativo principale dell’economia capitalistica è di stimolare continuamente domanda e consumo, rendendo cieca la crescita dell’economia capitalistica, privilegiando la quantità alla qualità, l’omologazione all’autenticità, la tecnica all’uomo, la crescita allo sviluppo. In contrapposizione a questo tipo di sistema si inserisce la teoria dello sviluppo sostenibile, che riguarda la difesa della qualità della vita e la questione economico-sociale, che ha coinvolto numerosi studiosi, movimenti politici e civili passando dal globale al locale e viceversa. Forse come dice Sciascia “c’è chi crede che questa terra possa crescere e diventare moderna, civile ed economicamente evoluta senza perdere però le sue suggestioni, il suo fascino, la sua cultura”.
Qualunque difesa del territorio è infatti efficace se si verificano delle richieste forti e piene di dignità da parte della società civile. Sicuramente la lotta per l’autodeterminazione di un luogo non può essere delegata a chi ha delle priorità diverse dalla gente che lo vive e lo “sente” realmente. Il modello Occidentale impone una omologazione totalitaria della modernità, della produzione, dell’informazione, dei mercati, ma fortunatamente oggi assistiamo ad una presa di coscienza di un numero sempre più ampio di persone che si oppongono a questo modello. Essi hanno capito l’importanza delle identità culturali e della dignità della persona, di come vengono aggredite dall’omogeneizzazione tecnologica e dalla mercificazione utilitaristica, contrapponendo dei modelli di sobrietà etica (come vincolo alle necessità economiche) e di sostenibilità. Questo è possibile in forme consensuali di democrazia comunitaria, con un principio di sovranità che oltrepassa il contrattualismo individualistico.
Un’importante risposta al processo di mercificazione globale la possiamo trovare nell’intreccio delle “lotte” per la democrazia, per la pace, per i diritti civili, per la difesa dell’ambiente. La società civile, con una forte valenza etica, cerca di difendere tutti quei valori non scambiabili, né monetizzabili.
Per questo il 17 aprile al quesito referendario “volete che, quando scadranno le concessioni, vengano fermati i giacimenti in attività nelle acque territoriali italiane anche se c’è ancora gas o petrolio?” è necessario che vinca il si. Un si al nostro “futuro carrubo secolare” per dire no al modello creato e sostenuto dal petrolio.