Zitti, parla il pentito!

Attilio, tu sei mio fratello”.

A dodici anni dalla scomparsa del giovane urologo siciliano, è questo il grido commosso che si leva a Barcellona. Ma questo non è un anno qualunque. È un anno in cui quello che sembrava impossibile diventa verosimile; quello che sembrava disunito diventa collegato ad altri pezzi mancanti, come un grande mosaico in cui ogni frammento restituisce un’immagine. Mosaici che però, per essere ricomposti, richiedono la non rassegnazione e l’ostinazione di familiari, amici, avvocati, giornalisti con la schiena dritta e il supporto di una società civile che spera. Ma anche questa è una storia già vista nel nostro paese. Le vittime di mafia, prima di vedere quella luce oltre il tunnel, devono isolare quelle voci assordanti che mirano a delegittimarle, perché le verità scomode sono sempre frutto di menti pazze e confuse. Questo è successo alla famiglia Manca per tanti anni, in un paese che ormai viene definito la Corleone del 2000. Ma doveva piovere a lungo, prima che la matassa si cominciasse a sbrogliare, perché nel paese dei dormienti l’attenzione pubblica è qualcosa che va ogni tanto stuzzicata. Insomma, ci volevano i pentiti.

Ci voleva quel clamoroso scoop della “Gazzetta del Sud”, che ha messo nero su bianco, ancora una volta, quei nomi che a Barcellona dicono tanto, perché in fondo sono sempre gli stessi: “Ammetto che quando ho letto l’articolo sono saltato dalla sedia” ha detto Fabio Repici “Era facile dire ‘sono elucubrazioni della famiglia’. Il primo collaboratore che ha parlato di questa vicenda è stato Giuseppe Setola, il Carmelo D’Amico del clan dei casalesi. La sua fonte era sempre Giuseppe Gullotti. Gullotti era cognato di Salvatore Rugolo. Poi, purtroppo ,il collaboratore ha revocato l’intenzione di collaborare. Carmelo D’Amico ha offerto questo scenario e ci sono elementi di verisimiglianza, perché la fonte è Salvatore Rugolo, cognato del boss Gullotti”. Ma vale la pena ricordare perché queste dichiarazioni sono state definite esplosive, proprio con le parole del cronista Nuccio Anselmo: “La collaborazione di D’Amico si interseca con altre collaborazioni. Oggi dobbiamo dire che l’attenzione su Barcellona è assai cambiata e l’organizzazione mafiosa barcellonese non è stata inferiore all’organizzazione dei corleonesi. Guido Lo Forte l’ha detto in maniera chiara dopo l’operazione Gotha VI ed è la prima volta che un procuratore lo dice”.

Che la cittadina del Longano, in fondo, non sia più la provincia “babba” è un fatto ormai acclarato, ma è anche vero – come ha sottolineato Luciano Mirone, autore del libro “Attilio Manca: un suicidio di mafia” – che manca l’interesse della stampa nazionale e di quella politica che dovrebbe accogliere la famiglia del giovane urologo con tutti gli onori. Cosa che purtroppo non è mai successa.

Il caso, intanto, presto approderà a Roma. Questo è quello che rimarca l’altro avvocato della famiglia Manca, Antonio Ingroia, che crede fermamente che questo caso alla fine troverà giustizia.

“Giustizia”, una parola che in questo anniversario è stata più volte rimarcata, anche da quelle altre famiglie che hanno aspettato di conoscere la verità per tanti lunghi anni: la famiglia Campagna, la famiglia di Ida e Antonino Agostino. Quest’ultima porta le tracce di quei cari strappati alla loro vita: la madre di Nino Agostino tiene e terrà incollati gli abiti neri, fino al giorno in cui un tribunale darà dignità a una famiglia spezzata dal dolore e dall’ostinata ricerca della verità. Ostinata ricerca che oggi, dopo 12 anni, tiene in vita anche la famiglia Manca, grazie anche, e soprattutto, alla tenacia di una donna, di una madre, Angelina, che è diventata negli anni il simbolo di chi va oltre le verità preconfezionate e che cerca di isolare quello voci che continuano a ribadire: “Fai silenzio, tuo figlio era un drogato”. Voci che purtroppo, però, arrivano da quelle istituzioni che la verità dovrebbero ricercarla “senza se e senza ma”, e senza “Ci porti lei le prove che suo figlio ha operato Provenzano”.

Intanto, in questo dodicesimo anniversario, le parole che echeggiano sono queste: “Fu u calibrisi a uccidere Attilio Manca…”.